espressionismo Archivi - Classicult https://www.classicult.it/tag/espressionismo/ Dove i classici si incontrano. Cultura e culture Fri, 12 Jul 2024 08:05:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.1 https://www.classicult.it/wp-content/uploads/2018/08/cropped-tw-profilo-32x32.jpg espressionismo Archivi - Classicult https://www.classicult.it/tag/espressionismo/ 32 32 Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano e l’installazione À jour di Laura VdB Facchini https://www.classicult.it/galleria-darte-moderna-di-roma-mostra-lestetica-della-deformazione-protagonisti-dellespressionismo-italiano-e-linstallazione-a-jour-di-laura-vdb-facchini/ https://www.classicult.it/galleria-darte-moderna-di-roma-mostra-lestetica-della-deformazione-protagonisti-dellespressionismo-italiano-e-linstallazione-a-jour-di-laura-vdb-facchini/?noamp=mobile#respond Fri, 05 Jul 2024 13:41:28 +0000 https://www.classicult.it/?p=264422 Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano e l'installazione À jour dell’artista Laura VdB Facchini

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Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano e l’installazione À jour dell’artista Laura VdB Facchini

Leggi qui il commento di Alessandro Turillo (5 luglio 2024)
Leggi qui le informazioni sulla mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano
Leggi qui le informazioni sull’installazione À jour dell’artista Laura VdB Facchini


Espressioni Italiane nel cupo silenzio

Può succedere che lungo il percorso di una mostra si passi dalla realtà alla trascendenza, attraversando tempi passati ed emozioni presenti. È quello che mi è successo oggi a seguito della preziosa presentazione presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma. Passeggiando lungo le sale ben allestite dai curatori, ad un certo punto mi sono ritrovato dentro a qualcosa di molto vivo: il periodo storico che va dagli anni Venti agli anni Quaranta in Italia.

Tutti i pittori esposti sono parte del tessuto di un periodo storico che ha trasformato l’Italia, disegnando traiettorie che tutt’ora potremmo trovarci a percorrere anche inconsapevolmente.

Ma alla mostra di quelle traiettorie così regolari e decise volute dal fascismo non ne troverete neanche una. Antiaccademici animati dal desiderio di esprimere il personale sentire, questi pittori vengono riuniti nel felice dialogo tra il patrimonio della Galleria d’Arte Moderna di Roma, alcune collezioni capitoline e quella, intensa, raccolta da Giuseppe Iannaccone di Milano.
Si ritrovano così a cantare di un’epoca di cui percepivano che la musica non avesse spazio.

La Direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, Ilaria Miarelli Mariani, introduce la mostra e suoi prestigiosi curatori, ricordando che quanto sta avvenendo in questo momento è un’anticipazione delle mostre che avverranno in occasione del centenario della GAM (Galleria d’Arte Moderna). L’importanza in questo contesto è legata al profondo dialogo tra due collezioni, quella pubblica di Roma e quella privata di Milano, che hanno in comune, la capacità di mantenere viva l’attenzione sul fare arte, in un periodo così centrale per la nostra storia contemporanea.

L’allestimento della mostra, a cura di Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta, ci permette di incontrare gruppi di artisti accomunati dal loro lavoro in tre grandi città italiane: Roma, Torino e Milano.

In tutte le opere possiamo ritrovare l’attenzione degli artisti per i movimenti europei dell’epoca, in un periodo in cui invece veniva espressamente richiesto di guardare solo ed esclusivamente alle virtù nazionali.

Da questo punto di vista quindi si potrebbe apprezzare – oltre che il talento pittorico e la sua declinazione dentro l’espressione dell’arte italiana – , anche il valore simbolico e lo slancio verso un mondo libero dagli inganni di idee troppo rigidamente costrittive.

La mostra che apre le porte il 6 Luglio è anche un implicito invito a tutte le persone che hanno una passione enorme per la quiete museale dell’estate. 

Forse con un po’ di fortuna si potrebbe rimanere a tu per tu con lo slancio lirico di questi artisti e sprofondare nel canto e nel silenzio che sono stati parte di un’epoca tormentata, all’interno della quale però la voce dell’arte non solo ha lasciato un ricordo, ma è stata addirittura premonizione di difficoltà e aperture per quello che fu il loro futuro ed è il nostro presente.


L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano

Fino al 2 febbraio 2025 in esposizione circa 130 opere per ripercorrere la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi attivi principalmente a Roma, Milano e Torino

Roma, 5 luglio 2024 – Una delle stagioni più originali della cultura artistica italiana della prima metà del XX secolo è rappresentata dall’espressionismo degli anni Venti-Quaranta che, pur sviluppato in gruppi più o meno definiti e longevi, ha apportato alla ricerca artistica un contributo di fondamentale rilievo. A questa esperienza estetica e poetica a cavallo fra le due guerre è dedicata la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano, ospitata dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025 alla Galleria d’Arte Moderna e ideata in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025).

Il progetto espositivo “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano” è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano. A cura di Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta. Organizzazione Zètema Progetto Cultura. Con il contributo tecnico di Open Care – Servizi per l’Arte.

La mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano alla Galleria d’Arte Moderna riflette su alcune delle più importanti personalità che, in percorsi individuali o in seno a gruppi codificati, hanno declinato nell’Italia degli anni Venti-Quaranta la proposta di un linguaggio spiccatamente antiaccademico, incentrato sulla trascrizione del dato soggettivo interiore, un colore antinaturalistico e ribelle, un’idea di forma deviante rispetto al canone “classico” di bellezza. Per questi artisti non è importante la rappresentazione asettica delle cose, la mera “trascrizione” del dato percepito dai sensi, ma piuttosto l’esternazione delle proprie visioni interiori, la “interpretazione” di quel dato. Espressionismo deriva dal latino exprimĕre, composto da ex e premĕre, cioè, premere fuorispremere, esternare attraverso il filtro soggettivo. Su questa base ecco che i ritratti non tendono più verso l’esattezza fotografica, che sul paesaggio si deposita uno sguardo inquieto e la città diventa scenario di visioni allucinate e oniriche, mentre gli oggetti delle nature morte sembrano metafore enigmatiche. Forme deformanti e colori ribelli, aggressivi e spregiudicati, offrono alle idee un adeguato strumento linguistico.

Grazie al dialogo fra la collezione della Galleria d’Arte Moderna, le opere provenienti da altre collezioni capitoline (Musei di Villa TorloniaCasa Museo Alberto Moravia) e le opere provenienti dalla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, mai esposta nella Capitale, sarà possibile ripercorrere la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi che hanno avuto come centro d’azione le città di Roma, Milano e Torino.

Saranno presenti anche le due più recenti acquisizioni della Collezione Giuseppe Iannaccone e cioè gli oli su tela, entrambi del 1929, Nudo sdraiato di Gigi Chessa e Figura in blu (e vaso verde) di Francesco Menzio. La Collezione Giuseppe Iannaccone, specializzata non solo nell’arte contemporanea ma anche nell’arte italiana fra le due guerre, è unica nel panorama italiano e internazionale: nata dalla passione collezionistica di Giuseppe Iannaccone, la raccolta illustra la stagione dell’espressionismo italiano degli anni Venti-Quaranta, con una predilezione, cioè, per quei gruppi che hanno costruito una proposta artistica “neoromantica” alternativa e successiva alla stagione neo-classica del Novecento sarfattiano e di Valori Plastici.

Gli artisti in mostra: Afro, Arnaldo Badodi, Mirko Basaldella, Renato Birolli, Domenico Cantatore, Bruno Cassinari, Gigi Chessa, Filippo De Pisis, Lucio Fontana, Nino Franchina, Nicola Galante, Renato Guttuso, Carlo Levi, Mario Mafai, Giacomo Manzù, Marino Mazzacurati, Roberto Melli, Francesco Menzio, Ennio Morlotti, Fausto Pirandello, Antonietta Raphaël, Aldo Salvadori, Aligi Sassu, Scipione (Gino Bonichi), Emilio Sobrero, Luigi Spazzapan, Filippo Tallone, Fiorenzo Tomea, Arturo Tosi, Ernesto Treccani, Italo Valenti, Emilio Vedova, Alberto Ziveri.

L’estetica della deformazione 1. Mario Mafai, Le case del Foro Traiano, 1930 olio su tavola, cm 40x50 Roma, Galleria d’Arte Moderna 2. Mario Mafai, Donne che si spogliano, 1934 olio su tavola, cm 96,5x79 Roma, Galleria d’Arte Moderna 3. Scipione (Gino Bonichi),Il Cardinal Decano, 1930 olio su tavola, cm 133,7x117,3 Roma, Galleria d’Arte Moderna 4. Scipione (Gino Bonichi), La via che porta a San Pietro (I borghi), 1930olio su tavola, cm 41,5x49 Roma, Galleria d’Arte Moderna 5. Marino Mazzacurati, Ritratto d’uomo, 1941-1943 cera, cm 33x25x32,8 Roma, Galleria d’Arte Moderna 6. Roberto Melli, Natura morta (Composizione), 1935olio su tela, cm 58x68Roma, Galleria d’Arte Moderna 7. Luigi Spazzapan, Kyralina, 1930 tempera su carta e acquerello, mm 470x360Roma, Galleria d’Arte Moderna 8. Emilio Sobrero, Colosseo, 1927-1935olio su tela, cm 68x89 Roma, Galleria d’Arte Moderna 9. Aldo Salvadori, Natura morta, 1934 olio su tela, cm 44x59 Roma, Galleria d’Arte Moderna 10. Giacomo Manzù, Ritratto di Ada de Micheli, 1940Testa femminile, 37x30x26,5Roma, Galleria d’Arte moderna

Il percorso espositivo inizia naturalmente da Roma, con la Scuola di via Cavour e alcune delle personalità che via via hanno definito variamente la “scuola romana” e le sue peculiarità tecniche e tematiche, non ultima quella del tonalismo. In origine l’incontro fra i giovani Scipione e Mafai, cui presto si avvicina la Raphaël, dà l’avvio a una pittura visionaria e onirica, animata da colori accesi e drammatiche lumeggiature, nutrita dall’ammirazione per Goya, El Greco, Bosch, ma anche per i moderni Kokoschka, Chagall, Derain, Dufy. Roberto Longhi, recensendo la mostra del gruppo nella primavera del 1929, individua chiaramente nel sodalizio di via Cavour le derivazioni espressioniste francesi. Altri artisti si uniscono a una nuova e variegata koiné “neoromantica”, tra cui Mazzacurati, Pirandello, De Pisis, Melli, Afro, Mirko, Guttuso, Ziveri.

L’itinerario espositivo prosegue con alcuni dei protagonisti del gruppo dei Sei di Torino (1929-31), «una pattuglia giovane di anni e giovane di spirito» riunita attorno al carisma di Felice  Casorati e alle personalità di Edoardo Persico e Lionello Venturi. Attraverso le opere di Chessa, Galante, Levi, Menzio, e inoltre di artisti come Spazzapan e Sobrero, vicini al sodalizio, si esplora una pittura di chiara ispirazione “francofona”, incentrata sul colore, ispirata dalle ricerche impressioniste e postimpressioniste d’oltralpe.

Il percorso si conclude con il gruppo Corrente, protagonista dal 1938, a Milano, di un vigoroso e appassionato espressionismo lirico. Il gruppo di giovani artisti coordinati da Edoardo Persico (Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti e molti altri – come Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore, Franchina – che partecipano più o meno assiduamente alle attività della rivista e della Bottega omonime) esprimono una pittura inquieta ed emozionata, capace di «parlare alla gente di cose vive».

Arnaldo Badodi, Caffè, 1940 olio su compensato, cm 48x58 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Renato Birolli, Gineceo, 1934 olio su tela, cm 70x65 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Mario Mafai, Tramonto sul lungotevere,1929 olio su compensato, cm 41,3x50,8 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Antonietta Raphaël, Veduta dalla terrazza di via cavour,1929 olio su tavola, cm 21x27,4 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Scipione (Gino Bonichi), Cavalli davanti al mattatoio, 1929 ca olio su tavola cm 35,8x41,5 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Italo Valenti, Giovani greci,1939 olio su tela, cm 40x50 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Emilio Vedova, Il caffeuccio veneziano, 1942 olio su tela, 43,2x55 cm Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano Alberto Ziveri, Il postribolo,1945 olio su tela, cm 100x125 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

Il dialogo fra la collezione della Galleria d’Arte Moderna e la Collezione Giuseppe Iannaccone illumina l’una e l’altra di reciproche inedite reinterpretazioni, confermando come l’arte italiana fra le due guerre, tutt’altro che affetta da provincialismo, abbia intessuto feconde e proficue interazioni con gli orizzonti europei. Gli espressionisti italiani, in piena sintonia con le tendenze internazionali ma allo stesso tempo consapevoli dello specifico della tradizione nazionale, hanno dato luogo a un lessico originale e franco, capace di interpretare con efficacia le inquietudini del loro tempo.

Con la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano si rinnova inoltre l’impegno della Sovrintendenza Capitolina nel rendere accessibili le esposizioni temporanee. La mostra è infatti progettata per essere fruibile dal più ampio pubblico possibile: per le persone con disabilità visiva è stato infatti elaborato un percorso dedicato, dotato di disegni a rilievo con traduzioni in braille e relative audiodescrizioni.


“À jour” dell’artista Laura VdB Facchini

Fino al 3 novembre 2024 in esposizione un’installazione ambientale che dialoga con il complesso monumentale dell’ex monastero di San Giuseppe a Capo le Case, sede della Galleria.

Leggi qui l’articolo dedicato col commento di Alessandro Turillo: https://www.paesaggicolorati.it/arte-contemporanea/a-jour-ricami-oltre-il-tempo-nellinstallazione-di-laura-vdb-facchini/

Roma, 5 luglio 2024 – Dal 6 luglio al 3 novembre 2024 la Galleria d’Arte Moderna di Roma ospiterà À jour, un progetto site-specific ideato e realizzato dall’artista Laura VdB (Van der Bol) Facchini e promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali Zètema Progetto Cultura.

Laura VdB Facchini ha studiato a lungo l’ex convento delle Carmelitane Scalze a San Giuseppe a Capo le Case, l’edificio che ospita la Galleria d’Arte Moderna, e ha effettuato una lettura accurata dello spazio, dei suoi colori e della sua luce. Su questa base ha pensato di realizzare un’installazione site-specific, ispirandosi al ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo spazio e che in una parte del complesso monumentale ancora sono presenti.

L’installazione è un gigantesco ricamo, lavorato e intrecciato annodando strisce di polietilene bianco e trasparente. Il grande arazzo tridimensionale che ne risulta, realizzato con questo materiale suscettibile di essere tirato e modellato, è determinato dall’architettura stessa della facciata e del chiostro; anche gli agganci dei nastri sono stati individuati sulla superficie architettonica preesistente.

À jour accoglie il visitatore già all’ingresso del museo, con un grande intervento sulla facciata, per poi accompagnarlo negli ambienti interni, in particolare nel chiostro delle sculture e nel chiostro-giardino. Qui l’istallazione, interagendo con lo spazio aperto e con le sculture che vi stanno intorno, crea nuovi arabeschi e suggestioni. Lungo i due lati del cortile, l’intreccio dei nastri bianchi e trasparenti spazia tra le aperture, mettendo in comunicazione l’interno e l’esterno, il pieno dei muri con i vuoti delle finestre, creando nuove geometrie ed effetti tridimensionali sulle ampie superfici architettoniche. I nodi e gli intrecci danno spessore al bassorilievo che con le sue ombre genera volume plastico. Il materiale scelto, il film estensibile da imballaggio, è già stato utilizzato dall’artista in altre installazioni site-specific in luoghi storici, in quanto rispetta le architetture più delicate nelle quali si trova a intervenire.

 

Scheda Info

Galleria D’Arte Moderna

Via Francesco Crispi 24 – 00187 Roma

Orari

Dal martedì alla domenica ore 10.00 – 19.00

Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

Biglietteria

Biglietto unico comprensivo di ingresso alla Galleria d’Arte Moderna e alla Mostra per l’importo di € 11,50 intero e di € 9,00 ridotto, per i non residenti;

Biglietto unico comprensivo di ingresso alla Galleria d’Arte Moderna e alla Mostra per l’importo di € 9,00 intero e di € 8,00 ridotto, per i residenti;

Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Non sarà attivato un biglietto solo Mostra.

Ingresso gratuito al museo per i possessori della “MIC Card

Info mostra

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

www.galleriaartemodernaroma.it; www.museiincomune.it; www.laurafacchini.com

 

Comunicazioni ufficiali e immagini dagli Uffici Stampa Zètema Progetto Cultura e della Collezione Giuseppe Iannaccone, Lara Facco.

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Artiste a Roma. Percorsi tra secessione, futurismo e ritorno all’ordine https://www.classicult.it/artiste-a-roma-percorsi-tra-secessione-futurismo-e-ritorno-allordine/ https://www.classicult.it/artiste-a-roma-percorsi-tra-secessione-futurismo-e-ritorno-allordine/?noamp=mobile#respond Tue, 11 Jun 2024 15:00:27 +0000 https://www.classicult.it/?p=259495 Al Casino dei Principi di Villa Torlonia la mostra Artiste a Roma. Percorsi tra secessione, futurismo e ritorno all’ordine

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ARTISTE A ROMA. PERCORSI TRA SECESSIONE, FUTURISMO E RITORNO ALL’ORDINE

Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi

14/06/2024 – 06/10/2024

Leggi qui il racconto di Alessandro Turillo (13 giugno 2024)
Leggi qui le informazioni ufficiali sulla mostra


Grazie all’arte frammenti di ricordi attraversano il tempo e lo spazio, mentre le opere portano insieme alla bellezza anche alcune di quelle domande a cui è difficile rispondere: chi siamo?
Come guardiamo al mondo? Che cosa stiamo facendo al nostro presente?

Ma con che voce, queste domande ci vengono poste? Per moltissimo tempo la voce dell’arte è stata maschile.

Donne nella storia dell’arte ce ne sono sempre state, anche se magari non ne conosciamo neppure il nome. A partire dalla fine degli anni ’60, con la rivoluzione sessuale/sentimentale, le donne rivendicano con più forza un proprio spazio, e la loro voce inizia a farsi sentire, come il 18 ottobre 1973 a New York. Durante un’importante mostra da Sotheby’s, un gruppo di attiviste della “Women in the Art”, accese i fari sulle scelte di vendita della serata: delle cinquanta opere esposte, solo una era di una donna.

L’arte delle donne però è sempre esistita, come i fiumi carsici, che possono dissetare chi conosce i segreti della terra.

Oggi, tanti di quei fiumi hanno trovato la luce presso la mostra Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine.

Nelle sale espositive del Casino dei Principi di Villa Torlonia, si possono ascoltare le voci di alcune artiste, che lavorarono tra l’inizio del XX secolo e il periodo postbellico a Roma.

Centrali per questa esposizione sono dunque la capitale stessa e le creazioni avvenute durante il periodo storico del ventennio fascista. Una fase storica che in questi anni nel nostro Paese, è ancora al centro di accese discussioni politiche e culturali.

La mostra è un chiaro manifesto dei cambiamenti di stile dell’arte italiana che avvennero a partire dalla conclusione della prima guerra mondiale, fino al termine della parabola fascista. Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine identificano il passaggio delle poetiche del tempo, attraverso la sapienza tecnica delle artiste presentate.

Il primo impatto con le opere è quello di un caleidoscopio di colori che vibrano verso una tonalità aperta alle contaminazioni espressive.

L’allestimento della mostra è felicemente adatto alla valorizzazione di tutti i lavori, e accompagna gli spettatori attraverso le varie epoche, con un approfondimento nelle sale del pianterreno su Růžena Zátková. Di questa artista possiamo osservare due opere “materiche ante litteram” (1920), trent’anni prima dei lavori di Burri, ed una sala dove regna la fantasia cromatica di tavole double face, dedicata alla “Vita del Re David secondo le leggende bibliche”.

L’invito per i visitatori è quello di darsi il tempo di leggere i pannelli introduttivi di ogni sala, che sono stati preparati con attenzione e amore dalle Curatrici, coadiuvate da un gruppo di studentesse scelte per merito, presso il dipartimento SARAS (Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo) di Roma.

Queste scritture brevi e chiare incentivano l’incontro con mondi che ci sono affini per consuetudine, ma la cui riesplorazione potrebbe arricchire ulteriormente il nostro punto di vista sulla prima metà del ‘900.

Il movimento artistico racconta della sua reazione non solo al “caos benedetto” delle avanguardie di inizio secolo, con il loro carattere rivoluzionario. Ma anche una chiara risposta alla feroce distruttività della prima guerra mondiale, al termine della quale sorse la necessità di ancorarsi a valori più classici, come quelli tradizione rinascimentale. Il consolidarsi del Fascismo adottò con piacere i valori del Futurismo e del Ritorno all’Ordine, perché si sposavano bene con la costruzione ideologica che stava mettendo in atto, in netta antitesi alla ricerca diversamente sperimentale di avanguardie come Espressionismo e Dadaismo.

In parallelo a questo tipo di tendenza, gli artisti che operarono durante il Regime Fascista furono sollecitati ad aderire e a declinare rappresentativamente l’idea di mondo che andava imponendosi. Da questo punto di vista si potrà eventualmente scegliere di riflettere sui rapporti tra cambiamento di stile, adesione ad una certa idea, e linee di fuga più o meno accentuate, rispetto ai canoni imposti per lavorare.

L’allestimento offre la possibilità di incontrare il passaggio di poetiche che alcune artiste adottarono nel corso della loro carriera.

Alcune di loro parteciparono a più di una corrente stilistica. A tal proposito, accenno di prestare attenzione alla tele di Edita Broglio del 1912 (“La montagna incandescente”), che al pianterreno incontriamo in una sua vocazione espressionista, ma che al primo piano ritroviamo invece con “Uova Fresche” del 1928, in una insolita consonanza con il Ritorno all’Ordine, che si muove tra echi metafisici e slanci verso il realismo magico.

Sempre al primo piano, a proposito di Ritorno all’Ordine, e revisioni urbanistiche di Roma, possiamo osservare alcuni lavori di Eva Quajotto, di cui qui ricordo “Demolizione a Piazza Navona” del 1936, dove si presenta la memoria della riorganizzazione che il Regime mise in atto per slegare l’urbanistica della capitale, da un passato piacevolmente caotico e ricco di storia, verso una forma che voleva essere più funzionale e consona ad una città in cammino verso il nuovo ordine imperiale, anche al prezzo di demolizioni, sventramenti, stravolgimenti.

Fa da corollario, a questo discorso, sempre al primo piano, la galleria di foto di Ghitta Carell (artista di origini ebraiche), che rappresentano alcune figure di spicco della cultura del tempo, all’interno della quale troviamo anche una foto di Edda Ciano, la figlia del Duce, ed un ritratto di Mussolini stesso.

Molto interessante anche la scelta di adottare, per alcune opere, l’uso di pannelli tattili per i non vedenti, in modo da poter sentire le rappresentazioni pittoriche. In particolar modo ho trovato importante l’attenzione di questi pannelli per un’opera astratta dell’artista Benedetta Cappa Marinetti “Irradiazione di un nucleo di sviluppo (Primavera)” dove si potrà fare esperienza del concetto di energia, che fu così centrale nel movimento Futurista.

Incontra questa felice intuizione anche la possibilità per tutti, di toccare le statue esposte, avendo così accesso ad un contatto diretto con il lavoro delle scultrici.

Accenno solo ad una di loro, Antonietta Raphaël Mafai (anch’essa di origini ebraiche, e per questo perseguitata e costretta alla fuga), di cui qui troviamo, tra le altre, la scultura “Riflesso nello specchio” del 1945, in un realismo sensibile e vibrante, con una forte identità femminile.

La mostra – come si può intuire dagli di spunti qui discussi – è davvero un viaggio che offre molteplici strade, e proprio nel segno di questa ricchezza vorrei accennare ad uno dei quadri esposti di Mimì Quilici Buzzacchi, “Le melograne” del 1926. Mi soffermo sull’opera perché nella sua solitudine espositiva, in una bella sala intercapedine tra Futurisimo, Espressionismo e Ritorno all’Ordine, l’opera per fortuna di allestimento si trova a splendere sola e luminosa, nel passaggio di tutti i visitatori, che inconsapevolmente finiscono ammaliati in parte dalla sua posizione, ben visibile, in parte dalla felicità cromatica espressa, che anticipa per composizione alcuni lavori del nostro presente.

Essere artiste a Roma fino ed oltre la seconda guerra mondiale è stata una sfida contro le consuetudini di un tempo molto diverso da quello delle rivoluzioni degli anni ’70, ma sicuramente il riemergere di queste opere dagli archivi delle gallerie in cui sono state chiuse per troppi anni, è il segno di una tensione al riconoscimento di un bisogno condiviso: quello dell’integrazione fondamentale di tutte le voci del nostro presente, di un’attenzione sempre vigile su quelle parti di società che magari, anche oggi, sono costrette alla dimenticanza, ma senza le quali il racconto del mondo non solo sarebbe più povero ma anche meno autentico.

Si ringrazia Cinzia Di Cuonzo per la consulenza storiografico artistica.


Roma, 04 giugno 2024Artiste a Roma. Percorsi tra secessione, futurismo e ritorno all’ordine è la grande esposizione collettiva che aprirà al pubblico al Casino dei Principi di Villa Torlonia dal 14 giugno al 6 ottobre 2024.

L’esposizione, a cura di Federica Pirani, Annapaola AgatiAntonia Rita Arconti e Giulia Tulino, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata in collaborazione con Sapienza Università di Roma, Dipartimento SARAS (Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo) e con Zètema Progetto Cultura.

Il progetto espositivo aggiunge un ulteriore tassello di conoscenza a quel filone di ricerca, avviato da diversi anni dalla Sovrintendenza Capitolina, dedicato alle artiste e all’immagine della donna nella storia dell’arte.

Artiste a Roma. Percorsi tra secessione, futurismo e ritorno all’ordine Maria Grandinetti Mancuso, Astrazione di natura morta, ante 1930, olio su tela, cm 53x61,8. Roma, Collezione F. Lombardi Pasquarosa, Cabine/Capanne sulla spiaggia /Portoferraio, 1927, olio su tela, cm 49x61. Roma, Galleria d'Arte Moderna Artiste a Roma. Percorsi tra secessione, futurismo e ritorno all’ordine Adriana Pincherle, Natura morta con fiori e zucca, 1935-1945, olio su tela su compensato, cm 80x113. Roma, Casa Museo Alberto Moravia Benedetta Cappa Marinetti, Roma 1897 – Venezia 1977, Velocità di motoscafo, 1922, olio su tela, cm81x119,3. Roma, Galleria d'Arte Moderna Leonetta Cecchi Pieraccini, Nello studio, 1926-1929, olio su tela, cm 90x65. Roma, Galleria d'Arte Moderna Milena Pavlovic Barilli, Composizione, 1932, olio su tela, cm60x40. Roma, Galleria d'Arte Moderna • Růžena Zátková, Vita del Re David secondo le leggende bibliche, ciclo di 13 tavole recto-verso, 1917-1918, acquerello e collage su cartone, cm53,5x38. Collezione Privata. Tavola 1, recto, Unzione di David: mentre pascola il gregge. Samuele lo manda a chiamare e lo consacra Antonietta Raphaël, Riflesso nello specchio, 1945-1961, gesso, cm 120x49,5x69. Roma, Galleria d'Arte Moderna

Attraverso una selezione di quasi 100 opere tra dipinti, sculture e fotografie, la mostra documenta l’impegno artistico di molte pittrici e scultrici attive nella vita culturale capitolina nella prima metà del Novecento, esponenti di quelle avanguardie e di quei movimenti che, dal futurismo all’espressionismo, hanno attraversato gli anni del Ventennio fino al secondo dopoguerra. Artiste spesso sottostimate dalla storiografia, nonostante siano state protagoniste di una vasta produzione artistica che ha lasciato un segno significativo nella storia dell’arte italiana del XX secolo.

Tra le artiste italiane e internazionali presenti in mostra figurano i nomi di Evangelina Alciati, Teresa Berring, Wanda Biagini, Edita Broglio, Benedetta Cappa Marinetti, Ghitta Carell, Katy Castellucci, Leonetta Cecchi Pieraccini, Angela Cuneo Jacoangeli, Deiva De Angelis, Emilia de Divitiis, Maria Grandinetti Mancuso, Bice Lazzari, Pasquarosa Marcelli Bertoletti, Costanza Mennyey, Vittoria Morelli, Marisa Mori, Adriana Pincherle, Milena Pavlovic Barilli, Eva Quajotto, Mimì Quilici Buzzacchi, Antonietta Raphael, Virginia Tomescu Scrocco, Maria Immacolata Zaffuto, Emilia Zampetti Nava, Rouzena Zatkova.

Figure che provengono da esperienze, formazioni e contesti diversi, ma tutte pienamente integrate nel tessuto artistico di Roma, altra vera protagonista di questo progetto espositivo, una città che è stata crocevia privilegiato e luogo di incontro durante il Ventennio, sapendo accogliere e amalgamare le tendenze artistiche più diverse e divenendo luogo nevralgico per lo sviluppo dell’arte contemporanea.

L’esposizione, articolata in sei sezioni, propone un percorso che, attraverso alcuni nomi noti e meno noti del panorama artistico femminile italiano, attraversa cinquant’anni densissimi di avvenimenti: gli anni Dieci con le Secessioni romane, in cui prevalgono stili diversi come l’espressionismo, il divisionismo, lo Jugendstil, che incontrano dopo il 1916, anche il futurismo; segue la Prima guerra mondiale che introduce al Ventennio e in cui si afferma il cosiddetto “ritorno all’ordine”: anni caratterizzati dalla ripresa di canoni e temi classici mediati dal primo Rinascimento e promossi dalla rivista «Valori Plastici» in cui è presente anche la metafisica dei fratelli de Chirico. Ancora durante il Ventennio e sempre all’interno dei cosiddetti “ritorni”, s’incontra la Scuola di Via Cavour che propone un’arte fortemente espressiva e spesso in “silenzioso disaccordo” con il regime in atto. Il percorso si chiude con gli anni che precedono e seguono la Seconda guerra mondiale.

Catalogo della mostra a cura di De Luca Editori d’Arte.

SCHEDA INFO MOSTRA

Titolo mostra ARTISTE A ROMA. PERCORSI TRA SECESSIONE, FUTURISMO E RITORNO ALL’ORDINE

Luogo Musei di Villa Torlonia – Casino dei Principi

Via Nomentana, 70 – Roma

Apertura al pubblico 14 giugno – 06 ottobre 2024

Orario Dal martedì alla domenica ore 9.00-19.00

Ultimo ingresso ore 18.00

Giorno di chiusura: lunedì

Biglietteria Biglietto Casino dei Principi con Mostra:

€ 6,00 intero non residenti; € 5,00 ridotto non residenti;

5,00 intero residenti; € 4,00 ridotto residenti.

Biglietto cumulativo Casino Nobile + Casino dei Principi con Mostra + Casina delle Civette con Mostra + Serra Moresca:

14,00 intero non residenti; € 12,00 ridotto non residenti;

13,00 intero residenti; € 11,00 ridotto residenti.

Biglietto cumulativo Casino Nobile + Casino dei Principi con Mostra + Casina delle Civette con Mostra:

11,00 intero non residenti; € 10,00 ridotto non residenti;

10,00 intero residenti; € 9,00 ridotto residenti.

Gratuito con la MIC card

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

Organizzazione Zètema Progetto Cultura

In collaborazione con Sapienza Università di Roma, Dipartimento SARAS (Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo)

Mostra a cura di Federica Pirani, Annapaola Agati, Antonia Rita Arconti,

Giulia Tulino

Catalogo De Luca Editori d’Arte

Info Mostra Info 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

www.museiincomuneroma.it 

www.sovrintendenzaroma.it

www.museivillatorlonia.it 

www.zetema.it

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Zètema Progetto Cultura. Aggiornato il 13 giugno 2024.

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A Milano e Roma la mostra Munch. Il grido interiore https://www.classicult.it/a-milano-roma-la-mostra-munch-il-grido-interiore/ https://www.classicult.it/a-milano-roma-la-mostra-munch-il-grido-interiore/?noamp=mobile#respond Tue, 21 May 2024 17:27:00 +0000 https://www.classicult.it/?p=255593 A Palazzo Reale di Milano la mostra Munch. Il grido interiore, una delle più attese dell'anno; arriverà poi a Palazzo Bonaparte a Roma

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A Palazzo Reale di Milano l’attesissima mostra MUNCH. Il grido interiore
14 settembre 2024 – 26 gennaio 2025

Leggi qui il racconto di Alessandro Turillo (22 maggio 2024)
Leggi qui le informazioni ufficiali sulla mostra

mostra Munch. Il grido interiore EDVARD MUNCH, Notte stellata, 1922–1924. Olio su tela, 80,5x65 cm. Foto © Munchmuseet EDVARD MUNCH, The Girls on the Bridge, 1927. Olio su tela, 100,5x90 cm. Foto Halvor Bjørngård. ©Munchmuseet mostra Munch. Il grido interiore EDVARD MUNCH, L'urlo, 1895. Litografia (pastello e inchiostro litografico), 46,5x36,5 cm. Foto © Munchmuseet

Dentro il fulgore di Munch

Munch è sicuramente uno degli artisti che inconsapevolmente frequentiamo di più al giorno.

Lo vediamo ogni volta che scrolliamo la galleria di emoticon in cerca dell’espressione giusta per dire qualcosa. Il volto dell’urlo ispirato a lui può essere usato in tanti modi, per scherzare, chiedere aiuto, per dire quanto grande sia la nostra paura, ma in ogni caso, è li con noi, insieme al folto gruppo di icone che da quasi trent’anni danno una goccia di immagine ai nostri messaggi.

L’urlo però, prima dei suoi compagni di schermata, da cento trentuno anni ha messo a fuoco un punto essenziale: la forza del nostro sentire ha l’intensità di una stella. Ma se vogliamo dirci umani, dobbiamo dar voce a quel fulgore, qualunque esso sia.

Dopo ‘40 anni dall’ultima mostra milanese, uno dei più importanti pittori del ‘900 torna in Italia per un doppio appuntamento a Milano nel 2024 e a Roma nel 2025.

Con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale di Milano e Arthemisia, in collaborazione con il Museo Munch di Oslo. L’esposizione si propone di ricordare il gesto non solo pittorico ma umano di un artista che ha fatto fluire con la sua tecnica il tessuto della trama di ciò che più ci caratterizza: le nostre emozioni.

L’allestimento di Patricia G. Berman che è una delle più grandi studiose al mondo di Munch, fa emergere con chiarezza sia la classicità che la contemporaneità, di uno dei fondatori dell’arte moderna.

Una delle linee guida del percorso che gli spettatori incontreranno sarà l’incentivo a osservare le opere a partire da quella che era la percezione della realtà di Munch, vissuta attraverso le proprie emozioni.

Tone Hansen, Direttrice del Museo Munch a Oslo, che è partner dell’iniziativa, parlando del suo conterraneo, sottolinea, quanto fosse sensibile alle vibrazioni dell’aria, ed allora penso a come questo racconto, sia così immediatamente percepibile nelle sue tele. Onde di colore, per dire senza veli quanto accade mentre la vita ci scorre dentro.

All’inizio della sua carriera il giovane Edvard si muove tra impressionismo e post impressionismo che lo guidano verso un uso del colore sempre più psicologico e personale, portandolo poi a dare forma a quell’arte fluida e intensa che si è consoliderà nel nostro immaginario.

Artista eversivo per i suoi contemporanei, inizialmente è reputato scandaloso per l’acuta capacità di mostrare il non accettabile della sua epoca. Un uomo la cui biografia certamente fu costellata da afflizioni ma, come ricorda Domenico Piraina, il direttore di Palazzo Reale di Milano, soprattutto un artista che ha saputo parlare una lingua universale, al di là e oltre le sue vicende personali. Dunque, una sollecitazione per il nostro presente e futuro, nella direzione di una maggior consapevolezza del rapporto tra percezione, emozione e realtà.

Ma di cosa parla il suo linguaggio così personale?

Secondo Iole Siena, presidente di Arthemisia, la mostra sarà in grado di metterci a contatto sia con i vissuti di uno dei norvegesi più apprezzati al mondo, sia, con la corrente emotiva vivissima ancora oggi presente in tutti i suoi lavori.

Le opere esposte sono volte a proporre la forte identità artistica del pittore, che diede forma, in modo quasi rabdomantico, all’angoscia esistenziale che il mondo avrebbe attraversato da lì a poco.

Pensiamo alla serigrafia de L’urlo in esposizione, dove la perturbazione delle forme della natura emerge con forza, nella sua ondularità espressiva. Ricordiamo la genesi del celebre dipinto, che rimonta al 1893:

«Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi di Kristiania – con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava – si era immerso fiammeggiando sotto l’orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliava la volta celeste. Il cielo era di sangue – sezionato in strisce di fuoco – le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo – scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso – Esplodeva il rosso sanguinante – lungo il sentiero e il corrimano – mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente – ho avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo – i colori della natura – mandavano in pezzi le sue linee – le linee e i colori risuonavano vibrando – queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie – perché io realmente ho udito quell’urlo – e poi ho dipinto il quadro L’urlo.» [pp. 46-47 dal libro di Edvard Munch, Frammenti sull’arte, a cura di Marco Alessandrini, Milano, Abscondita, 2015, ISBN 978-88-8416-625-8]

Ritornando alla conferenza stampa di presentazione e anticipazione della mostra, durante la stessa Costantino D’Orazio, direttore dei Musei Nazionali dell’Umbria, ricorda che l’esposizione è impreziosita dal taccuino italiano di Munch, e da un filmino girato da lui. Da questo punto di vista, si accenna quasi inconsapevolmente ad un autore vicino alla sensibilità di alcuni suoi colleghi nel nostro tempo, prolifici come lui nella scrittura, e amanti del video.

La mostra presta attenzione al viaggio di Munch in Italia e in particolar modo a Roma, dove passò del tempo sia per lo studio di Michelangelo, sia per venire a commemorare lo zio Peter Andreas Munch. Come ha ricordato l’Ambasciatore di Norvegia in Italia Johan Vibe, l’eminente studioso, parente del pittore, fu il primo straniero ad avere l’accesso agli archivi vaticani. Nel suo passaggio a Roma Munch andrà presso la tomba dello zio, al cimitero acattolico di Testaccio: fatto di cui si potrà ritrovare nota, in alcuni suoi bozzetti.

Un Munch che viaggia, che esprime un sentire sicuramente Europeo e aperto all’alterità presente nel mondo, questo evento è un’occasione secondo Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, per rinsaldare un legame tra le nazioni, nel già sempre amichevole rapporto con la Norvegia, che attraverso il Patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia in Italia, evidenza, l’importanza di questo scambio così ricco e fruttuoso.

Quando un grande amico del tuo passato torna in città allora, è molto probabile che tu voglia incontrarlo, sapere come sta, e soprattutto verificare cosa sia cambiato dall’ultima volta. Può darsi che quell’amicizia nel tempo ti avesse dato molto, e allora prima avvicinandoti a quel momento senti uno strano altalenare tra paura della delusione e eccesiva aspettativa.

Munch torna in Italia, e sono certo che il dialogo che noi abbiamo avuto con lui nel tempo sia fermo al nostro ultimo incontro, immacolato nella sua forza vitale che attraversa il tempo e lo spazio e ci continua guardare sincero, anche da un’icona degli emoticon.



Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, EDVARD MUNCH (Norvegia, 1863-1944) viene celebrato con una grande retrospettiva, promossa da COMUNE DI MILANO – CULTURA, con il patrocinio della REALE AMBASCIATA DI NORVEGIA A ROMA, e prodotta da PALAZZO REALE e ARTHEMISIA, in collaborazione con il MUSEO MUNCH DI OSLO.

Protagonista indiscusso nella storia dell’arte moderna, Munch è considerato un precursore dell’Espressionismo e uno dei più grandi esponenti simbolisti dell’Ottocento, nonché l’interprete per antonomasia delle più profonde inquietudini dell’animo umano.

La vita di Munch è stata segnata da grandi dolori che lo hanno trascinato ai limiti della follia: la perdita prematura della madre e della sorella, la tragica morte del padre, la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen. Tutto ha contribuito a formare la poetica di Munch, che riuscirà a esprimere, grazie a un eccezionale talento, il suo grido interiore trasformandolo in opere d’arte. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore riescono a raggiungere ogni essere umano, trasformando le sue opere in messaggi universali, il malessere esistenziale che affligge ogni essere umano. È questo che ha determinato la grandezza di Munch, rendendolo uno degli artisti più iconici del Novecento.

La mostra, curata da PATRICIA G. BERMAN, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, racconterà tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione, e lo farà attraverso 100 OPERE, tra cui una delle versioni litografiche custodite a /Oslo de L’Urlo/ (1895), ma anche /La morte di Marat/ (1907), /Notte stellata/ (1922–19249), /Le ragazze sul ponte/ (1927), /Malinconia/ (1900–1901) e /Danza sulla spiaggia/ (1904).

Ad arricchire la mostra milanese, è previsto un ricco palinsesto di eventi che coinvolgerà diverse realtà culturali della città e che andrà ad approfondire la figura dell’artista ed espandere i temi delle sue opere esplorando diversi linguaggi, dal cinema all’architettura, dalla musica alla letteratura e molto altro.
Il programma sarà pubblicato prossimamente sui canali di comunicazioni dei partner coinvolti.

LA MOSTRA AVRÀ UNA SECONDA TAPPA A ROMA, A PALAZZO BONAPARTE, DAL 18 FEBBRAIO AL 2 GIUGNO 2025.

L’ARTISTA
Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare sentimenti, passioni e inquietudini della sua anima, comunicandoli in maniera potente e tragica.
Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Per Lasson Krohg, col quale iniziò la carriera pittorica nel 1880, si spostò a Parigi per la prima volta nel 1885 e qui subì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.

Munch fu per tutta la sua vita condizionato dalla sofferenza e dalla mancanza che conobbe già da bambino, quando subì la perdita scioccante della madre e della sorella, malate di tubercolosi.

A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale, che non solo non fu apprezzata, ma fu anche reputata scandalosa: da quel momento Munch ha incarnato la figura
dell’artista eversivo e maledetto.

Una vita precaria e vissuta “sull’orlo di un precipizio” che lo portò all’alcolismo e a una crisi psicologica, fino al ricovero in alcune case di cura tra il 1908 e il 1909.
Scegliendo l’isolamento, si spostò quindi nella sua proprietà di Ekely a Oslo fino alla sua morte nel 1944, dopo un mese dal suo ottantesimo compleanno.

MUNCH. IL GRIDO INTERIORE
14 SETTEMBRE 2024 – 26 GENNAIO 2025
PALAZZO REALE, MILANO

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Arthemisia.

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Cinque minuti con Van Gogh al Palazzo Ducale di Genova https://www.classicult.it/cinque-minuti-con-van-gogh-al-palazzo-ducale-di-genova/ https://www.classicult.it/cinque-minuti-con-van-gogh-al-palazzo-ducale-di-genova/?noamp=mobile#respond Fri, 12 May 2023 17:45:46 +0000 https://www.classicult.it/?p=202254 Al Palazzo Ducale di Genova il Paesaggio con covoni e luna nascente protagonista di Cinque minuti con Van Gogh. A tu per tu con un Capolavoro

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Al Palazzo Ducale di Genova apre al pubblico la mostra “Cinque minuti con Van Gogh. A tu per tu con un Capolavoro”, protagonista il dipinto Paesaggio con covoni e luna nascente (1889)

Dopo il grande successo di “Cinque minuti con Monet” a Palazzo Ducale di Genova torna il format che consente di stare a tu per tu con opere importanti della storia dell’arte.
Questa volta è protagonista uno degli artisti più amati, Vincent Van Gogh.

Genova Cinque minuti con Vincent Van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889. Olio su tela, cm 72x91,3. © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands
Vincent Van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889. Olio su tela, cm 72×91,3. © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Nel 2020, in pieno periodo COVID-19, Palazzo Ducale di Genova e Arthemisia hanno lanciato un nuovo format: la fruizione “a tu per tu” con i grandi capolavori dell’arte.

La prima volta è toccato a Monet, padre dell’Impressionismo. Migliaia di visitatori hanno potuto godere della bellezza delle Ninfee come non succede mai nei musei o nelle mostre: da soli, in un rapporto intimo e intenso con l’opera d’arte.
Il format, di grande successo, ha ricevuto un importante riconoscimento, il premio Cultura+Impresa 2020-2021.

Questa volta tocca all’artista più amato al mondo, Vincent Van Gogh, di cui sarà esposta una delle sue opere iconiche, Paesaggio con covoni e una nascente realizzato a Saint-Rémy-de-Provence nel luglio 1889.
Nel periodo di maggiore instabilità mentale, Van Gogh realizza quest’opera durante il suo ricovero volontario presso il manicomio di Saint-Paul-de-Mausole e riproduce il panorama che scorgeva dalla finestra della sua cella: un campo di grano, dipinto ad ogni cambio di stagione, a diverse ore del giorno, che diventerà presto il soggetto dominante delle opere di questo periodo e quasi un’ossessione per lui.

Dal prossimo 12 maggio e fino al 10 settembre 2023, questo capolavoro sarà esposto a Palazzo Ducale nella Cappella del Doge, per essere ammirato in solitudine (o in coppia, o in famiglia, ma comunque in modo intimo ed esclusivo).

L’esposizione, a cura di Costantino D’Orazio, è promossa e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la CulturaComune di GenovaRegione Liguria e Arthemisia, in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo.
La mostra vede come sponsor tecnico Acuson.

La mostra Cinque Minuti con Van Gogh ha aperto al pubblico venerdì 12 maggio 2023 al Palazzo Ducale di Genova, alle ore 15.00.

L’OPERA
Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889
L’8 maggio del 1889 Vincent Van Gogh entra volontariamente nel manicomio di Saint-Paul-de-Mausole. Davanti a lui si apre la prospettiva di una triste esclusione dalla società: è destinato a vivere tra le urla e le intemperanze dei pazienti che manifestano di continuo la loro instabilità mentale. Per alleviare questa situazione, il fratello Theo riesce a procuragli la possibilità di avere a disposizione anche una camera dove dipingere, al primo piano della struttura. Per un anno, quella stanza sarà il suo atelier, illuminato dalla luce che penetra da una sola finestra, alla quale Van Gogh si affaccia ogni giorno. Il panorama che Vincent scorge da quel punto diventerà presto il soggetto dominante delle opere prodotte durante i mesi che trascorre come “pensionato internato”. Lo stesso campo di grano, dipinto ad ogni cambio di stagione, a diverse ore del giorno, quasi un’ossessione per lui.

In una lettera al fratello Theo Vincent confessa:

“[…] attraverso la finestra con le sbarre di ferro posso scorgere un quadrato di grano in un recinto, una prospettiva alla maniera di Van Goyen, sopra la quale al mattino vedo sorgere il sole nel suo splendore”.

Van Goyen è un pittore olandese del Seicento – un artista barocco, proprio come l’autore degli affreschi della Cappella del Doge – uno specialista del paesaggio senza figure umane, un cultore dei colori tenui e delle atmosfere rarefatte del Nord Europa: anche all’interno del manicomio, durante uno dei periodi più duri della sua vita, Van Gogh non rinuncia a riflettere sulla storia dell’arte, si confronta con la pittura barocca cercando di inserire il suo lavoro nel solco di una nobile tradizione. Lui che si è sempre voluto sentire un pittore tra pittori, non un rivoluzionario e nemmeno un alieno, bensì un artista apprezzato per il suo talento.

Di quel campo coltivato esistono almeno dieci versioni, tutte diverse tra loro, tutte uniche.

All’inizio del mese di luglio 1889 dipinge Paesaggio con covoni e luna nascente, dove riprende uno schizzo che aveva disegnato in una lettera inviata a Gauguin:
Ne ho uno in preparazione al sorgere della luna sullo stesso campo dello schizzo della lettera di Gauguin, ma i covoni sostituiscono il grano. È giallo ocra opaco e viola […]”.
La terra si anima trasformandosi in una superficie mobile sulla quale i volumi dei covoni fanno eco ai pendii morbidi delle colline e ai crepacci dei monti.
Siamo all’ora del tramonto, la luna sta sorgendo dietro alle montagne e il grano si tinge di arancione, il tono violaceo dei monti rimanda già ad un paesaggio notturno, i tocchi di pennello risentono ancora del linguaggio inventato dai pittori impressionisti, al quale Van Gogh si sente intimamente legato.

Proprio come Monet aveva trattato i covoni e le cattedrali, così Vincent registra il mutamento della luce e dei colori di uno stesso punto di vista nel corso dei giorni e delle stagioni. Per mesi ripete instancabilmente il campo recintato da un muretto a secco con le montagne sullo sfondo, cambia semplicemente il momento della giornata o aggiunge piccoli dettagli: all’alba, al tramonto, alla sera, a volte inserisce un mietitore. Incredibilmente, nel periodo di maggiore instabilità mentale, riesce a portare avanti un progetto artistico estremamente razionale. Programma le sue sessioni di lavoro, studia gli effetti cromatici e calcola i gesti da compiere sulla tela.
Paesaggio con covoni e luna nascente è la prova che Vincent nemmeno a Saint-Rémy-de-Provence ha mai dipinto in preda alle sue crisi psicotiche, ma ha sfruttato i suoi rari momenti di lucidità per comporre capolavori di chiara matrice impressionista, esaltati da pennellate sofferte e precarie, che segnano la strada verso l’Espressionismo.
Al Palazzo Ducale di Genova apre al pubblico la mostra “Cinque minuti con Van Gogh. A tu per tu con un Capolavoro”, protagonista il dipinto Paesaggio con covoni e luna nascente (1889).
Informazioni e prenotazioni
T. +39 010 8171600
www.palazzoducale.genova.it
www.arthemisia.itHashtag ufficiale
#CinqueMinutiConVanGogh
Biglietti
Intero
 € 8,00
Ridotto
 € 7,00
Testi e immagini dall’Ufficio Stampa Arthemisia

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Rudolf Levy (1875 -1944) – L’opera e l’esilio, mostra agli Uffizi https://www.classicult.it/rudolf-levy-1875-1944-l-opera-e-l-esilio-mostra-uffizi/ https://www.classicult.it/rudolf-levy-1875-1944-l-opera-e-l-esilio-mostra-uffizi/?noamp=mobile#respond Tue, 24 Jan 2023 21:10:54 +0000 https://www.classicult.it/?p=186466 Si apre oggi in Palazzo Pitti la mostra “Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio”, dedicata al pittore espressionista

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GLI UFFIZI OMAGGIANO IL PITTORE ESPRESSIONISTA TEDESCO RUDOLF LEVY, EBREO ESULE A FIRENZE, DEPORTATO E UCCISO AD AUSCHWITZ:

LA GRANDE RETROSPETTIVA DEDICATA ALL’ARTISTA ALLIEVO DI MATISSE APRE IN OCCASIONE DEL GIORNO DELLA MEMORIA

Si apre oggi in Palazzo Pitti la mostra “Rudolf Levy (1875 -1944) – L’opera e l’esilio”. In fuga dal regime nazista, Levy visse i suoi ultimi (e più prolifici) anni a Firenze prima di essere deportato ad Auschwitz

Il Terzo Reich aveva ‘cancellato’ la sua produzione, marchiandola come ‘arte degenerata’

Il direttore Eike Schmidt: “È un dovere morale rendere omaggio al grande pittore e ricordarne l’opera e la tragica vicenda”

A quasi ottant’anni dalla morte e a pochi giorni dalla ricorrenza del Giorno della Memoria le Gallerie degli Uffizi rendono omaggio al grande pittore espressionista tedesco, nonché allievo di Matisse, Rudolf Levy (Stettino 1875 – Auschwitz 1944), dedicandogli in Palazzo Pitti una grande retrospettiva, che copre tutta la sua attività. Le 47 opere in mostra racconteranno la tormentata esistenza di Levy attraverso i suoi dipinti, dagli anni giovanili fino a quelli dell’esilio, tra cui gli ultimi trascorsi proprio a Firenze e considerati i più prolifici dal punto di vista artistico.

Il giovane Levy inizia a dipingere in Germania sotto la guida di Heinrich von Zügel, uno dei fondatori della Secessione di Monaco. Si trasferisce poi a Parigi, dove frequenta assiduamente la scuola di pittura di Henri Matisse. Dopo aver combattuto nella prima Guerra Mondiale, va a vivere a Berlino: è qui che nel 1922 realizza la sua prima mostra personale, facendosi conoscere ad una cerchia più ampia di pubblico e critica. Quando iniziano le persecuzioni naziste contro gli ebrei, Levy lascia la Germania e iniziano le sue peregrinazioni, le cui tappe principali sono Maiorca, poi la Francia, gli Stati Uniti, la Dalmazia. Nel gennaio del 1938 approda in Italia; dopo un soggiorno ad Ischia e un anno circa trascorso a Roma, nel 1941 arriva a Firenze. Nella sua stanza-atelier a Palazzo Guadagni in piazza Santo Spirito, Levy ritrova la perduta felicità creativa: dal 1941 al 1943 realizza oltre cinquanta dipinti, in prevalenza nature morte e ritratti. Il 12 dicembre del 1943, dopo l’occupazione tedesca, viene arrestato e incarcerato alle Murate, quindi trasferito a Milano a San Vittore. Il 30 gennaio 1944 è messo su un treno per Auschwitz, nello stesso trasporto di Liliana Segre. Giunto ad Auschwitz viene presumibilmente avviato subito alle camere a gas perché considerato troppo vecchio per essere utilizzato per il lavoro da schiavo e la sua presunta data di morte è quella dell’arrivo del convoglio ad Auschwitz, il 6 febbraio 1944.

Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio Gallerie degli Uffizi: mostra Rudolf Levy (1875 -1944) - L'opera e l'esilio

La mostra di Palazzo Pitti, nata da un’idea di Klaus Voigt, insigne studioso dell’esilio di ebrei e antinazisti in Italia, ha lo scopo di far conoscere Levy al grande pubblico: a causa della feroce repressione nazista nei confronti degli ebrei e contro la cosiddetta ‘arte degenerata’, le opere di questo artista presenti nelle collezioni dei musei tedeschi andarono in larga parte trafugate o disperse. Nell’immediato dopoguerra, a Levy vennero dedicate due mostre, ma in seguito il pittore non è stato più portato all’attenzione del grande pubblico. Il progetto degli Uffizi è stato curato dallo stesso Klaus Voigt, recentemente scomparso, Susanne Thesing, autrice della monografia su Levy, Vanessa Gavioli, curatrice delle Gallerie degli Uffizi, e Camilla Brunelli, direttrice del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato.

Firenze è tappa fondamentale nella produzione artistica di Levy, che proprio nel capoluogo toscano realizza alcune tra le sue opere più rappresentative: nature morte, paesaggi e ritratti.

L’esposizione si articola in tre sezioni. La prima illustra una selezione di opere giovanili dipinte fino alla prima Guerra Mondiale, dove è forte l’influenza di Henri Matisse.
I dipinti dal 1919 al 1933, periodo precedente all’esilio costituiscono il secondo capitolo del percorso: ancora centrale, in questo nucleo di lavori, il costante dialogo con l’arte di Matisse ma anche con quella di altre avanguardie.
La terza parte rispecchia l’opera tarda nell’età dell’esilio, dal 1933 al 1943, ed accoglie dipinti che furono esposti in mostra a Firenze nel 1946 e nel 1950. In aggiunta, ve ne sono altri mai esposti finora in Italia, che si trovano oggi in collezioni private e pubbliche, soprattutto in Germania.
Infine, è dedicato un approfondimento agli oggetti appartenuti all’artista, come fotografie e lettere, che insieme a cataloghi e documenti ufficiali, offrono una testimonianza preziosa sulla sua vita.

La mostra, con varianti, si sposterà nell’autunno a Kaiserslautern in Germania.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Firenze è stato il porto sicuro dove per anni Levy ha potuto dipingere in un’atmosfera internazionale e piena di stimoli. Ma le leggi razziali che hanno macchiato l’Europa giunsero anche qui, ponendo fine alla sua avventura artistica e alla sua vita. Di Levy gli Uffizi hanno acquistato nel 2020 uno splendido ritratto di ragazza (‘Fiamma’), eseguito proprio a Firenze ed ora, in occasione del Giorno della Memoria, assolvono al dovere morale di raccontare la tragica vicenda del pittore. Vicenda che, si è scoperto, si intreccia brevemente con quella della Senatrice Liliana Segre”.

La direttrice del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato, Camilla Brunelli:Si è finora parlato troppo poco di Rudolf Levy a Firenze, dove fu arrestato il 12 dicembre 1943. Mancava un omaggio importante al pittore, una mostra monografica che avesse come focus gli anni dell’esilio – in particolare gli ultimi passati a Firenze – e che delineasse, anche attraverso un apparato documentario curato dallo storico berlinese Klaus Voigt, purtroppo recentemente scomparso, la sua vicenda umana di persecuzione, esilio e deportazione. Klaus Voigt ha studiato per tanti anni l’esilio in Italia di ebrei e oppositori del regime nazista e stava scrivendo un libro su di lui: mi fa piacere ricordare che dobbiamo a lui l’idea di questa mostra, subito accolta dal direttore degli Uffizi Eike Schmidt”.

INFO SULLA MOSTRA

TITOLO: Rudolf Levy (1875 -1944) – L’opera e l’esilio

LUOGO: Palazzo Pitti, Andito degli Angiolini

DURATA: 24 gennaio – 30 aprile 2023

TIPOLOGIA: arte del Novecento

CURATELA: Camilla Brunelli, Vanessa Gavioli, Susanne Thesing, Klaus Voigt

CATALOGO: Electa

Rudolf Levy (1875 -1944) – L’opera e l’esilio. A cura di Camilla Brunelli, Vanessa Gavioli, Susanne Thesing. Palazzo Pitti, Andito degli Angiolini 24 gennaio-30 aprile 2023. Catalogo Electa

MATTINATA DI STUDI IN MEMORIA DI RUDOLF LEVY

Nell’ambito delle iniziative dedicate dalle Gallerie degli Uffizi al Giorno della Memoria, il 26 gennaio 2023 si svolgerà all’Auditorium Vasari la Mattinata di Studi in memoria di Rudolf Levy, realizzata in collaborazione con il Museo della Deportazione e Resistenza di Prato.

10.00 – 10.30 INTRODUZIONE AI LAVORI

Eike Schmidt – Direttore delle Gallerie degli Uffizi

Renate Wendt – Console Onoraria della Germania a Firenze

10.30 – 12.30 Moderano: Vanessa Gavioli, Le Gallerie degli Uffizi e Camilla Brunelli, Museo della Deportazione e Resistenza di Prato

Marta Baiardi – Storica (Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea)

Firenze nera: persecuzioni antiebraiche e deportazioni (1943-1944)

Michele Sarfatti – Storico (già Università degli Studi di Milano)

Klaus Voigt e la nuova storia dei profughi in Italia

Patrizia Guarnieri – Storica (Università di Firenze)

Senza mai disfare le valigie”. Intellettuali e artisti migranti (Germania-Italia e altrove 1933-1943)

Susanne Thesing – Storica dell’arte

Il mio Rudolf Levy”: dall’esperienza familiare agli incontri con gli amici

Testo, video e foto dall’Ufficio Stampa delle Gallerie degli Uffizi

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A Palazzo Braschi la mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia” https://www.classicult.it/palazzo-braschi-mostra-gustav-klimt-secessione-italia/ https://www.classicult.it/palazzo-braschi-mostra-gustav-klimt-secessione-italia/?noamp=mobile#respond Tue, 26 Oct 2021 20:22:08 +0000 https://www.classicult.it/?p=124058 Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra "Klimt. La Secessione e l’Italia": sarà ospitata lì fino 27 marzo 2022

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Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Dal 27 ottobre il Museo di Roma a Palazzo Braschi ospiterà un evento espositivo eccezionale: “Klimt. La Secessione e l’Italia”

Gustav Klimt, tra i più significativi artisti a cavallo fra Ottocento e Novecento e protagonista della Secessione viennese, torna in Italia con alcuni dei suoi capolavori provenienti dal Museo Belvedere di Vienna e dalla Klimt Foundation, tra i più importanti Musei al mondo a custodirne l’eredità artistica.

Una mostra che ripercorre la vita e la produzione artistica del pittore austriaco, con un focus inedito sulla sua esperienza in Italia. Nella mostra ci saranno molte novità e un’ospite d’eccezione: la celebre opera “Ritratto di Signora”, trafugata dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperata nel 2019

Palazzo Braschi Mostra Klimt La Secessione e l'Italia
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Fino al 27 marzo 2022, il Museo di Roma a Palazzo Braschi apre le sue porte al pubblico per un evento espositivo eccezionale che celebra la vita e l’arte di uno dei più grandi maestri e fondatori della Secessione viennese: Gustav Klimt.

Klimt. La Secessione e l’Italia è una mostra promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia che ne cura anche l’organizzazione con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con il Belvedere Museum e in cooperazione con Klimt Foundation, a cura di Franz Smola, curatore del Belvedere, Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali e Sandra Tretter, vicedirettore della Klimt Foundation di Vienna.

La mostra vede come main sponsor Acea, special partner Julius Meinl e Ricola, partner Catellani & Smith, radio partner Dimensione Suono Soft ed è consigliata da Sky Arte.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Con l’esposizione Klimt. La Secessione e l’Italia, l’artista austriaco torna in Italia e proprio a Roma, dove 110 anni fa, dopo aver partecipato con una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910, fu premiato all’Esposizione Internazionale dʼArte del 1911.

La mostra ripercorre le tappe dell’intera parabola artistica di Gustav Klimt, ne sottolinea il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e – per la prima volta – indaga sul suo rapporto con l’Italia, narrando dei suoi viaggi e dei suoi successi espositivi.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Klimt e gli artisti della sua cerchia sono rappresentati da oltre 200 opere tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture, prestati eccezionalmente dal Museo Belvedere di Vienna e dalla Klimt Foundation, tra i più importanti musei al mondo a custodire l’eredità artistica klimtiana, e da collezioni pubbliche e private come la Neue Galerie Graz. La mostra propone al pubblico opere iconiche di Klimt come la famosissima Giuditta I (1901), Signora in bianco (1917-18), Amiche I (Le Sorelle) (1907) e Amalie Zuckerkandl (1917-18).

Sono stati anche concessi prestiti del tutto eccezionali, come La sposa (1917-18), che per la prima volta lascia la Klimt Foundation, e Ritratto di Signora (1916-17), trafugato dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato nel 2019.

Fanno da cornice a questi grandi lavori del maestro austriaco e contribuiscono al racconto del periodo della Secessione viennese, anche dipinti e sculture del Museo Belvedere, firmati da altri artisti, quali Josef Hoffmann, Koloman Moser, Carl Moll, Johann Victor Krämer, Josef Maria Auchentaller, Wilhelm List, Franz von Matsch e molti altri.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Cartoline autografe documentano in mostra i viaggi in Italia di Klimt, che visitò Trieste, Venezia, Firenze, Pisa, Ravenna – dove si appassionò ai mosaici bizantini – Roma e il lago di Garda, cui si ispirarono alcuni suoi paesaggi.

Questi viaggi furono importanti per l’evolversi della sua ricerca creativa e ne accrebbero l’influsso sugli artisti italiani. Per questo al Museo di Roma a Palazzo Braschi le opere di Klimt saranno messe a confronto con quelle di artisti italiani come Galileo Chini, Giovanni Prini, Enrico Lionne, Camillo Innocenti, Arturo Noci, Ercole Drei, Vittorio Zecchin e Felice Casorati che – recependo la portata innovativa del linguaggio klimtiano molto più dei pittori viennesi del loro tempo – daranno vita con diverse sensibilità e declinazioni alle esposizioni di Ca’ Pesaro e della Secessione romana.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Grandi capolavori ma non solo. Al Museo di Roma, infatti, grazie alla collaborazione tra Google Arts & Culture Lab Team – nuova piattaforma di Google dedicata all’approfondimento delle arti – e il Belvedere di Vienna, tornano in vita tre celebri dipinti conosciuti come Quadri delle FacoltàLa Medicina, La Giurisprudenza e La Filosofia -, allegorie realizzate da Klimt tra il 1899 e il 1907 per il soffitto dell’Aula Magna dell’Università di Vienna e rifiutate da quest’ultima perché ritenute scandalose.

Ciò che rimane di queste opere andate perdute nel 1945 durante un incendio scoppiato al castello di Immendorf in Austria, sono solo alcune immagini fotografiche in bianco e nero e articoli di giornale.

La sfida di Google Arts & Culture è stata quindi di ricostruire digitalmente i pannelli a colori, attraverso il Machine Learning (un sottoinsieme dell’Intelligenza Artificiale) e con la consulenza del dott. Franz Smola, curatore della mostra e tra i maggiori esperti di Klimt al mondo.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Un processo di ricostruzione del colore

Partendo da una ricerca condotta dallo stesso Smola su descrizioni che gli studiosi del tempo e giornalisti avevano fatto dei tre dipinti ancora esistenti, il materiale raccolto è stato messo a confronto con le colorazioni utilizzate da Klimt nei dipinti realizzati in quello stesso periodo e ancora esistenti. Da qui, Emil Wallner, programmatore creativo per Google Arts & Culture, ha programmato un algoritmo di machine learning per creare un modello statistico di texture, motivi e colori di ciò che rimaneva dei Quadri delle Facoltà; Smola e Wallner hanno quindi hanno preso i riferimenti cromatici e li hanno aggiunti con cura ai tre dipinti di Klimt.

Mettendo insieme le testimonianze in bianco e nero e i riferimenti cromatici, il modello statistico è stato in grado di collegare i motivi in scala di grigi con le colorazioni dei dipinti di Klimt ancora esistenti, restituendo ai Quadri delle Facoltà i loro colori originali.

LA MOSTRA

Prima sezione – Vienna. 1900

Nel 1857 l’imperatore Francesco Giuseppe fa abbattere le antiche mura di Vienna per cingerla con una doppia strada alberata, la Ringstrasse, popolata di giardini, caffè e edifici di rappresentanza, ciascuno dei quali improntato allo stile storico più confacente alla sua funzione. La rottura avviene proprio ad opera di due artisti coinvolti nella costruzione e nella decorazione degli edifici del Ring: l’architetto Otto Wagner e il pittore Gustav Klimt, uniti dalla partecipazione alla Secessione di Vienna, il movimento fondato nel 1897 che cerca di adeguare l’arte agli stili di vita contemporanei. Scrive Wagner: «Tutto ciò che è creato con criteri moderni deve corrispondere ai nuovi materiali e alle esigenze del presente». E ciò vale soprattutto per i nuovi tipi edilizi, come le stazioni della metropolitana, le case d’affitto, le ‘ville urbane’. L’interno più radicale della Vienna fin de siècle è però il Cafè Museum di Adolf Loos (1899). A Vienna, peraltro, i caffè «sono una sorta di club democratici e accessibili a tutti al modico prezzo di una tazzina di caffè», come scrive Stefan Zweig, uno dei protagonisti letterari del momento, insieme con Hugo von Hofmannsthal, Georg Trakl, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Robert Musil. Anche nella scena musicale l’avvicendamento avviene nel 1897, quando Gustav Mahler diviene direttore dell’Opera di Corte. E mentre Arnold Schönberg, e Alban Berg aprono strade inesplorate alla musica, Sigmund Freud schiude la porta dell’inconscio.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Seconda sezione – Prime opere. La compagnia di artisti Künstler-Compagnie

Gustav Klimt proviene da un ambiente molto semplice. Nato il 14 luglio 1862, l’artista è il secondo di sette figli di Ernst Klimt, incisore d’oro, e sua moglie Anna, nata Finster, a Baumgarten, all’epoca un sobborgo di Vienna. Nonostante la critica situazione finanziaria, i genitori di Klimt permettono al loro figlio Gustav e ad altri due figli, Ernst e Georg, di formarsi presso la scuola di arti e mestieri di Vienna.

Durante i loro studi, i due fratelli Gustav ed Ernst Klimt, insieme al loro compagno di studi Franz Matsch, fondano intorno al 1879 un gruppo di lavoro e studio, la cosiddetta Compagnia di artisti, specializzata nell’esecuzione di dipinti su pareti e soffitti. Ricevettero commesse dai rinomati architetti Fellner & Helmer, che costruirono teatri in tutta la monarchia e commissionano ai pittori sipari teatrali e decorazioni delle volte. Le commesse più importanti includono le decorazioni del soffitto negli scaloni del Burgtheater di Vienna e gli affreschi nella tromba delle scale del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il successo della Compagnia di artisti, tuttavia, subisce un duro colpo quando il fratello di Gustav, Ernst, muore improvvisamente nel 1892 e il gruppo si scioglie.

Ernst Klimt, Paolo e Francesca, 1890 circa. Olio su tela, 125×95 cm, Belvedere, Vienna. © Belvedere, Vienna

Dai primi anni del 1890, Gustav Klimt esegue sempre più commissioni di ritratti per i circoli della classe media, distinguendosi per l’esecuzione realistica tecnicamente brillante e dettagliata.

Terza sezione – 1897. La fondazione della Secessione Viennese

Gustav Klimt, Manifesto per la I Mostra della Secessione
(26.03.1898-20.06.1898), dopo la censura, 1898. Litografia a colori su carta, 63,8×46,1 cm. Klimt Foundation, Vienna. © Klimt Foundation, Vienna

Probabilmente l’evento più importante nel contesto del rinnovamento artistico di Vienna può essere considerata la fondazione della Secessione viennese. Si tratta di uno spin-off della Cooperativa di artisti visivi Vienna – Künstlerhaus, l’organizzazione che all’epoca godeva di un monopolio nell’attività espositiva viennese. Insieme a oltre venti compagni, Gustav Klimt fonda l’Associazione degli artisti austriaci – Secessione il 3 aprile 1897 all’interno del Künstlerhaus. Il 24 maggio 1897 i Secessionisti decidono di lasciare il Künstlerhaus. Gustav Klimt viene nominato primo presidente della Secessione e ne disegna il primo manifesto raffigurante Teseo nudo che combatte il Minotauro. Le autorità censurarono il manifesto, decretando che i genitali dell’eroe dovessero essere nascosti da un tronco d’albero.

Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

I membri della Secessione non perseguono un linguaggio artistico uniforme. Da una parte, vi erano pittori più impegnati nell’arte realistica e naturale, come Wilhelm List, Johann Viktor Krämer, Vlastimil Hofman o Ferdinand Andri. D’altra parte, i pittori più orientati verso l’Art Nouveau, come Klimt, Carl Moll o Ernst Stöhr. Queste differenze stilistiche, ma anche dispute organizzative tra i “naturalisti” e gli “stilisti”, portano divisioni sempre maggiori fra gli artisti della Secessione, fino a quando Klimt e altri colleghi come Moser, Hoffmann e Moll decidono di lasciare il gruppo nel 1905.

Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Quarta sezione – Design nel contesto della Secessione Viennese

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

La particolarità della Secessione viennese, fondata nel 1897, è lo stretto legame tra le belle arti, l’architettura e il design. Oltre a numerosi pittori, fanno parte del gruppo della Secessione importanti architetti, designer innovativi e scenografi, come Otto Wagner, Josef Hoffmann, Joseph Maria Olbrich, Koloman Moser e Alfred Roller. Hoffmann, Moser e Roller sono anche i più importanti progettisti delle ventitre mostre che furono allestite nella Secessione nei primi otto anni dalla fondazione nel 1897 alla partenza del gruppo intorno a Gustav Klimt nel 1905, stabilendo nuovi standard con la modernità delle loro presentazioni espositive. Le mostre vengono accompagnate da manifesti la cui grafica è fortemente innovativa. Dal 1898 al 1903 la Secessione pubblica la rivista d’arte Ver Sacrum, per la quale Klimt, Moser e Josef Maria Auchentaller, tra gli altri, realizzano numerosi disegni.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Moser e Hoffmann progettano anche oggetti artistici e artigianali realizzati con un’ampia varietà di materiali. L’esecuzione di questi oggetti viene affidata da aziende austriache eccezionali, come la società di vetro Johann Lötz Witwe, famosa per i suoi oggetti in vetro iridescenti e luccicanti. Moser, Hoffmann e l’imprenditore Fritz Wärndorfer fondano l’azienda Wiener Werkstätte nel 1903, che avrebbe prodotto un gran numero di articoli di alta qualità per quasi trent’anni.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Quinta sezione – I primi viaggi di Klimt in Italia nel 1899 e nel 1903

Il Paese che Klimt visita più spesso è stato senza dubbio l’Italia. All’inizio del mese di maggio 1899 si reca in alcune città del Nord insieme al suo amico pittore Carl Moll e alla sua famiglia. Tra l’allora trentasettenne Klimt e la ventenne figliastra di Moll, Alma Schindler, l’attrazione reciproca già esistente da tempo si manifesta proprio durante il viaggio. Precisamente a Genova, Gustav e Alma si baciano per la prima volta, e a Verona Klimt la bacia una seconda volta. A Venezia, però, Moll, risentito, vieta al suo amico Klimt di fare ulteriori avances ad Alma. Klimt si scusa con Moll per il suo comportamento in una lettera lunga tredici pagine.

Quattro anni dopo, nel maggio 1903, Klimt torna a Venezia. In questa occasione ha modo di visitare per la prima volta i mosaici di Ravenna, evento che suscita in lui grande entusiasmo. Alla fine di novembre e all’inizio di dicembre dello stesso anno si reca ancora una volta a Ravenna e altre città dell’Italia settentrionale. Grazie alle cartoline che Klimt invia quasi ogni giorno a Emilie Flöge a Vienna, siamo informati dell’andamento del viaggio. Klimt scrive le prime cartoline da Villach, Pontebba, Venezia e Padova. Il 2 dicembre Klimt scrive da Ravenna: «[…] a Ravenna tante povere cose – i mosaici di uno splendore inaudito». Seguono cartoline da Firenze, Pisa, La Spezia, Verona e infine due cartoline da Riva del Garda.

Cartolina di Gustav Klimt a Emilie Flöge. Verona, 08.12.1903
13,7×9 cm. Collezione privata Leopold

Sesta sezione – Giuditta. Un’opera con lo status di icona

Gustav Klimt, Giuditta, 1901. Olio su tela, 84×42 cm, Belvedere, Vienna. © Belvedere, Vienna. Photo: Johannes Stoll

Negli anni tra il 1900 e il 1910, Klimt cade ripetutamente nel ruolo dell’artista dello scandalo che per primo osa concentrarsi più chiaramente che mai sull’erotismo femminile nei suoi dipinti, specialmente quelli dal contenuto simbolista e allegorico. Uno degli esempi più noti oggi, in cui Klimt rende omaggio al fascino dell’erotismo femminile, è il suo ritratto di Giuditta, creato nel 1901. Questa leggendaria figura biblica, che decapita con le sue stesse mani il generale assiro Oloferne, per salvare dalla rovina il suo popolo ebraico, si fa strada sempre più nell’arte e nella letteratura al tempo.

La Giuditta di Klimt sembra essere un eccezionale esempio del tipo di femme fatale, di nuovo stilizzato nelle arti visive e nella letteratura intorno al 1900, quell’essere affascinante da cui l’erotismo e il pericolo vengono sprigionati in egual misura. La visione ambivalente di Klimt di una donna erotica e allo stesso tempo omicida richiama l’attenzione su un argomento molto dibattuto a Vienna all’inizio del XX secolo, ovvero il rapporto tra i sessi. Il ruolo dell’uomo e della donna nella società, l’erotismo e la sessualità, l’autodeterminazione e la determinazione esterna dei ruoli sessuali vengono gradualmente messi al centro della scienza e della società negli anni successivi al 1900 e divengono oggetto di una fondamentale rivalutazione. Non è certo un caso che proprio in quegli anni a Vienna i rappresentanti dell’ancora giovane disciplina scientifica della psicoanalisi, Sigmund Freud in primis, giungano qui a intuizioni del tutto nuove.

Settima sezione – Ritratto di Signora

Il lavoro di Klimt è indissolubilmente legato alla sua speciale maestria nella ritrattistica. Sorprendentemente, si dedica quasi esclusivamente a ritratti femminili, mentre i ritratti di uomini sono estremamente rari e risalgono ai primissimi anni creativi. Nella ritrattistica in particolare, le opzioni di design di Klimt variano in grande densità e velocità. Nel primo Ritratto di donna di grande formato del 1894 circa, dimostra la sua maestria nel padroneggiare una tecnica pittorica quasi fotorealistica, mentre nel ritratto di donna di piccolo formato su sfondo rosso della fine degli anni 1890 passa a una tecnica impressionistica dello sfumato. In ogni ritratto il maestro cerca nuove ispirazioni; nessuna composizione è uguale all’altra. Con l’aiuto di un gran numero di studi a matita, Klimt si avvicina lentamente alla postura del modello, da lui considerata perfetta. La maggior parte dei committenti per i ritratti di Klimt appartiene alla classe benestante della società cittadina, alcuni tra i più ricchi del paese, come le famiglie Wittgenstein, Bloch-Bauer, Lederer o Primavesi. Molti appartengono all’élite intellettuale del Paese, come la famiglia Zuckerkandl.

Gustav Klimt, Amalie Zuckerkandl, 1917-1918. Olio su tela, 128×128 cm, Belvedere, Vienna. © Belvedere, Vienna, Photo: Johannes Stoll

Al di là della maestria di Klimt nella ritrattistica, il ritratto femminile è molto popolare all’epoca. Numerosi membri della Secessione viennese, come Otto Friedrich, Friedrich König, Max Kurzweil o Josef Maria Auchentaller, ne sono un eccellente esempio con i loro ritratti estremamente attraenti delle signore viennesi.

Ottava sezione – I quadri delle Facoltà

Nel 1894 Gustav Klimt e Franz Matsch ricevono l’ordine dal Ministero della Pubblica Istruzione di dipingere allegorie monumentali per il soffitto dell’Aula Magna dell’Università di Vienna. Klimt assume l’esecuzione delle rappresentazioni Filosofia, Medicina e Giurisprudenza. Questi quadri monumentali sono considerati le opere principali dell’opera di Klimt oggi. In esse, Klimt ha trattato l’erotismo e la sessualità in un modo che nessuno a Vienna aveva osato fare prima di lui. Sin dalla loro prima presentazione, le opere suscitano l’indignazione generale del pubblico e del contesto politico, tanto che il Ministero decide di non farle appendere come previsto inizialmente. Klimt rinuncia quindi all’incarico e restituisce l’onorario che gli era stato anticipatamente versato. Due dei dipinti delle facoltà finiranno nelle mani di un privato, uno entrerà in una collezione museale. Sfortunatamente, tutti e tre i dipinti furono distrutti negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale.

Gustav Klimt, Hygieia, particolare del quadro della facoltà La
Medicina. Collotipia a colori dal portfolio Gustav Klimt. Eine Nachlese, a cura di Max Eisler, stampato e pubblicato dalla Tipografia di Stato, Wien 1931, 1900-1907. Litografia su carta, 48,1×45,5 cm, Klimt Foundation, Vienna. © Klimt Foundation, Vienna

Oggi conosciamo l’aspetto dei quadri delle facoltà grazie a fotografie in bianco e nero. Solo la figura di Igea nella metà inferiore di Medicina è stata fotografata a colori. Nell’ambito del progetto digitale su Gustav Klimt realizzato da Google Arts & Culture, un gruppo di ricerca ha utilizzato le più recenti tecnologie informatiche come l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale per ricavare il colore originale delle immagini dalle riproduzioni in bianco e nero. Il risultato di questo progetto di ricerca sarà presentato per la prima volta al pubblico nel corso di questa mostra.

Nona sezione – Il Fregio di Beethoven

Moriz Nähr, Foto di gruppo con gli artisti della cosiddetta “Mostra di Beethoven” nella sala centrale del Palazzo della Secessione a Vienna; nella fila davanti, da sinistra a
destra: Kolo Moser, Maximilian Lenz, Ernst Stöhr, Emil Orlik, Carl Moll; nella fila dietro da sinistra a destra:
Anton Nowak, Gustav Klimt, Adolf Böhm, 1902. Gelatina d’argento, 13,9×19,8 cm, Klimt Foundation, Vienna. © Klimt Foundation, Vienna

Da aprile a giugno 1902, la Secessione viennese presenta come parte della sua XIV Mostra un omaggio a Ludwig van Beethoven. L’attrazione principale della mostra è una scultura di Beethoven scolpita in marmo colorato da Max Klinger. Inoltre, venti artisti della Secessione – tra cui Elena Luksch-Makowsky come unica artista – idearono contributi originali, in particolare fregi e rilievi murali. Alfred Roller sviluppa il concept della messa in scena, mentre il design degli interni viene affidato a Josef Hofmann.

È di Gustav Klimt il contributo più sensazionale con un fregio murale lungo più di 34 metri, che si estendeva per un’altezza di circa due metri su tre pareti di una stanza laterale. Klimt sviluppa un complesso programma di immagini che può essere visto come un’interpretazione visiva della Nona Sinfonia di Beethoven. L’importanza del fregio di Beethoven per l’opera artistica di Klimt non è sopravvalutata: Klimt raggiunge qui per la prima volta un monumentale isolamento delle figure; la linearità come elemento progettuale autonomo raggiunge il suo primo culmine. È davvero una fortuna enorme che il fregio di Klimt non sia stato demolito dopo la mostra di Beethoven – come i murali di altri artisti – e che sia stato conservato per i posteri. Il fregio, faticosamente rimosso dal muro, finisce nelle mani di committenti privati. Negli anni ‘70 viene venduto alla Repubblica d’Austria e, dopo anni di restauri, trova la sua definitiva dimora nei sotterranei del palazzo della Secessione viennese, dove è possibile ammirarlo ancora oggi.

Decima sezione – La pittura paesaggistica

Intorno al 1900 Klimt scoprì il tema del paesaggio, che da quel momento in poi costituirà un punto fermo nella sua pittura accanto alle allegorie e ai ritratti. Il rituale del viaggio estivo annuale era di grande beneficio per questo. In compagnia della sua compagna Emilie Flöge e della sua famiglia, Klimt guidava regolarmente in campagna per circa due o quattro settimane a luglio e agosto, preferibilmente nella regione dei laghi del Salzkammergut dell’Alta Austria. Nei suoi paesaggi, Klimt ha in mente una natura idealizzata; il suo obiettivo è creare un mondo senza nuvole e paradisiaco.

Klimt trascorse l’estate del 1913 sul Lago di Garda nel Nord Italia. Il risultato di questo soggiorno di cinque settimane, durato dal 31 luglio al 10 settembre, furono tre dipinti di grande formato, ovvero due immagini di città, vedute di Malcesine (già Collezione Lederer, Vienna, perduta dal 1945) e Cassone (collezione privata), oltre a una soleggiata Sezione di un sentiero di un giardino (Kunsthaus Zug, Svizzera).

Molti colleghi pittori dell’ambiente della Secessione viennese condividevano la preferenza di Klimt per paesaggi esteticamente raffinati e idealizzanti. Carl Moll e Koloman Moser, ad esempio, hanno preso in prestito molto da vicino le rappresentazioni di Klimt. La pittrice Broncia Koller-Pinell, così come i pittori Franz Jaschke e Rudolf Junk, crearono quadri di paesaggi e città in modo marcatamente divisionista. Sebastian Isepp, d’altra parte, mostra ispirazione.

Undicesima sezione – Roma 1911. L’Esposizione Internazionale di Belle Arti

Il fulcro del padiglione austriaco all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 è la sala Klimt, spesso citata nella stampa come “tempietto” o “abside” per la sua forma semicircolare e per l’aura quasi sacrale. Al suo interno, Klimt presenta otto dipinti e quattro disegni, tra ritratti, paesaggi, soggetti allegorici. Fra questi, il celebre dipinto Il bacio, i ritratti della signora Wittgenstein e quello di Emilie Flöge, due elaborate opere simboliste quali La Morte e la Vita e La Giustizia, le Bisce d’acqua I (o Le sorelle), elegantemente stilizzate. L’impressione complessiva che dovevano suscitare i colori smaglianti, la sinuosità delle linee, l’esuberanza dei motivi decorativi nello spazio bianco dell’abside, è sintetizzata da Emilio Cecchi, con parole che tradiscono, nonostante tutto, una sottile seduzione:

«Perché veramente il segreto dell’arte di Klimt sta nel fascino delle colorazioni elementari, negli accordi spontanei, negli incontri immediati, come quelli dei colori dell’ali della farfalla o delle scaglie della pietra. Quella sua complicatezza simbolica, quel desiderio di significati profondi che le hanno attirato l’ammirazione dei raffinati sono cosa estranea e, se rivelano con la loro macchinosità e con la loro astrattezza una volontà laboriosa dell’artista per mettersi d’accordo con la morbidità dei tempi e vibrare all’unisono con la cerebralità esasperata dei contemporanei, rivelano, anche, quanto la sua energia concreta e profonda rimanga da esse remota».

Dodicesima sezione – Alla Biennale di Venezia

Gustav Klimt partecipa per la prima volta alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia con due opere nel 1899 e nella città lagunare giunge all’epilogo la sua relazione con la giovane allieva Alma Schindler, che avrebbe poi sposato Gustav Mahler, divenendo una delle più celebri muse del XX secolo. Il pittore torna alla Biennale nel 1910 con una sala individuale, la numero 10, allestita dall’architetto austriaco Eduard Josef Wimmer-Wisgrill come una scatola bianca, con le pareti tripartite da due sottili fasce decorative nere e sei eleganti poltrone di vimini al centro. Il quadro Le amiche, qui esposto, è riconoscibile in una fotografia della sala 10, dove appare significativamente affiancato allo scandaloso Bisce d’acqua II. È come se le eleganti signore viennesi del primo quadro, vestite con mantelli e cappelli invernali che ne lasciano scoperti solo i volti, si fossero denudate per immergersi nelle onde senza tempo del secondo quadro, unendosi alle creature iridescenti che si lasciano cullare dai loro istinti. La mostra fa subito scalpore e divide la critica. La ragione principale la espone Nino Barbantini, direttore della Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro: «L’arte di Klimt è antipatica al nostro tempo perché l’oltrepassa e prepara il tempo di domani».

Tredicesima sezione – Secessione 1914

La seconda mostra della Secessione romana del 1914 vede l’attesa partecipazione (dopo l’occasione mancata dell’anno precedente) dell’Associazione di artisti austriaci fondata da Klimt nel 1906, in seguito alla scissione dalla Secessione viennese. Nato nel 1912 sulla scorta dei recenti successi del gruppo klimtiano in Italia, il movimento romano propone, in alternativa alla Società Amatori e Cultori di Belle Arti, un aggiornamento culturale di livello europeo sull’esempio “modernista” della Secessione austriaca. L’unica opera inviata da Klimt era il Ritratto di Mäda Primavesi (1912-1913), esposto con 4 disegni di Egon Schiele e dipinti di artisti come Carl Moll, Emil Orlik, Bertold Löffler, Oskar Laske, Broncia Koller, Ferdinand Andri e Felix Albrecht Harta. In una seconda sala vengono proposte le sculture di Franz Barwig e Michael Powolny, e quattro vetrine con ceramiche, stoffe, ricami, sete, oggetti d’oro e d’argento.

L’allestimento di Dagobert Peche, architetto e designer della Wiener Werkstätte, segue il principio della Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale), condiviso da molti artisti italiani che progettarono la decorazione degli ambienti espositivi: Vittorio Grassi, Aleardo Terzi, Enrico Lionne, Carlo Alberto Petrucci per le sale internazionali, Plinio Nomellini e Galileo Chini per la sala del gruppo della “Giovine Etruria”, Ferruccio Scandellari per quella dei bolognesi. L’esecuzione dei lavori viene affidata a Vincenzo Costantini e Gualtiero Gherardi, i mobili alla manifattura Spicciani.

Quattordicesima sezione – “La Sposa”. Un’opera importante degli ultimi anni

Gustav Klimt, La Sposa, 1917-18. Olio su tela, 165×191 cm, Klimt Foundation, Vienna. © Klimt Foundation, Vienna

Quando Klimt viene inaspettatamente colpito da un ictus nel gennaio 1918, prima di compiere 56 anni, per le cui conseguenze sarebbe morto un mese dopo, diversi sono i dipinti che ha ancora in lavorazione, tra cui l’opera di grande formato La sposa. In alcune parti del quadro, come quella a sinistra, l’immagine era in gran parte completa, mentre altre parti mostrano ancora uno schema di colori approssimativo. È uno dei formati più grandi che Klimt abbia mai eseguito. Il tema è l’amore e il desiderio sensuale. Al centro c’è la sposa omonima, addormentata e avvolta in un abito blu. La testa del suo partner è accanto a lei. Il suo corpo è in gran parte nascosto da un gruppo di donne che, strette l’una all’altra, sembrano fluttuare in posizioni diverse. In parte nude, in parte vestite, illustrano ovviamente le sfaccettature delle esperienze erotiche di felicità a cui la sposa sembra abbandonarsi nel suo sonno beato. La forte colorazione del quadro e gli audaci contrasti di colore mostrano che l’opera è caratteristica della tarda fase creativa di Klimt.

Gustav Klimt, Johanna Staude, 1917-1918. Olio su tela, 96×68,5 cm, Belvedere, Vienna. © Belvedere, Vienna, Photo: Johannes Stoll

Una pennellatura dinamica è visibile anche nel Ritratto di Johanna Staude, che Klimt dipinge negli ultimi mesi prima della sua morte. Johanna Staude, nata Widlicka, è la modella di Klimt del tempo. L’incompleto Ritratto di dama in bianco, tuttavia, non può essere associato a nessuna persona specifica. Presumibilmente è uno di quei ritratti femminili idealizzanti che Klimt spesso faceva delle sue modelle nude.

FOCUS

Il capolavoro ritrovato: Ritratto di signora

Gustav Klimt, Ritratto di Signora, 1916-17. Olio su tela, 68×55 cm, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi

Databile tra il 1916 e il 1917, il Ritratto di signora appartiene all’ultima fase di attività dell’artista. La sua pittura si fa meno preziosa e sorvegliata, abbandonandosi a pennellate quasi sbrigative, che tradiscono un approccio più emozionale, aperto alle atmosfere espressioniste.

Spetta a una studentessa di un liceo piacentino – Claudia Maga – avere intuito nel 1996 la particolarissima genesi dell’opera poi confermata anche dalle analisi cui la tela è stata sottoposta: Klimt la dipinge sopra un precedente ritratto già ritenuto perduto raffigurante una giovane donna, identica nel volto e nella posa all’attuale effigiata, ma assai diversamente abbigliata e acconciata.

I colpi di scena, tuttavia non finiscono qui. Il 22 febbraio 1997, la tela di Klimt viene rubata dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza con modalità che le indagini non riusciranno mai a chiarire. Non mancheranno sedicenti informatori che millanteranno contatti preziosi, mitomani, medium, estorsori e dubbie confessioni. Per la ricomparsa del dipinto occorrerà aspettare quasi ventitré anni e, se possibile, il ritrovamento sarà ancora più enigmatico del furto. Il 10 dicembre 2019 sono in corso alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del museo piacentino.

Qui, in un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura, viene rinvenuto un sacchetto di plastica dentro il quale c’è una tela: è il Ritratto di signora di Klimt.

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Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Il Belvedere ha il privilegio di ospitare la più grande collezione al mondo di dipinti di Gustav Klimt e considera suo preciso compito condividere questo autentico tesoro con il pubblico di tutto il mondo. A tal fine, il Museo si adopera in ogni modo per organizzare e sostenere esposizioni su Gustav Klimt nel contesto internazionale. Per “Klimt. La Secessione e l’Italia” presso il Museo di Roma a Palazzo Braschi ci avvaliamo di un partner d’eccezione: la Klimt Foundation, che ringraziamo molto per la cooperazione.

Sono inoltre lieta del fatto che la mostra renda un omaggio speciale al genius loci, testimoniando il legame che Gustav Klimt strinse con l’Italia, e con Roma in particolare, durante la sua vita. Un esempio per tutti è il padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann in cui furono presentati otto dipinti di Klimt, che fu senza dubbio una delle attrazioni della grande Esposizione internazionale tenutasi a Roma nel 1911. La mostra rievoca anche le due partecipazioni del pittore alla Biennale d’arte di Venezia del 1899 e del 1910 – quest’ultima soprattutto fu un grande successo per Klimt. Le recensioni e i resoconti prevalentemente positivi apparsi sui giornali dell’epoca, e non ultimo l’acquisto di due importanti opere klimtiane da parte degli enti culturali pubblici italiani, indicano che nessun altro Paese al di fuori dell’Austria comprendeva l’arte del maestro viennese come l’Italia.

Colgo l’occasione per esprimere la mia gratitudine per la calorosa ospitalità con cui Roma ha nuovamente accolto le opere di Klimt. I miei ringraziamenti vanno innanzitutto a Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente e co-curatrice della mostra, e ad Allegra Getzel, project manager di Arthemisia, responsabile dell’organizzazione e della realizzazione dell’evento.

Vorrei anche ringraziare Stephan Pumberger, direttore dell’ufficio mostre al Belvedere e responsabile del progetto per conto del Museo, e Franz Smola, curatore del Belvedere, che insieme a Maria Vittoria Marini Clarelli e Sandra Tretter, vicedirettrice della Klimt Foundation, ha ideato la mostra.

Stella Rollig

Direttrice generale del Belvedere, Vienna

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Dalla sua costituzione nel 2013, la Gustav Klimt | Wien 1900-Privatstiftung, in breve Klimt Foundation, si adopera per conservare, ricercare e divulgare l’opera di Gustav Klimt, inestricabilmente legata a una città e a un’epoca: la Vienna intorno al 1900. Il nucleo principale della collezione della Klimt Foundation è costituito dall’eredità del primo figlio illegittimo di Klimt, Gustav Ucicky, che prese il cognome della madre, la modella Maria Ucicka. Oltre a un centro di informazione e documentazione sul lago Attersee, il ‘luogo del desiderio’ dove Klimt amava trascorrere le sue vacanze estive, la fondazione no-profit con sede nel MuseumsQuartier di Vienna non solo gestisce numerosi progetti di ricerca su Klimt e la sua cerchia, ma cura anche due serie di pubblicazioni, e infatti a breve lancerà il primo elenco online liberamente accessibile di dipinti, autografi e fotografie di Klimt: www.klimt-database.com.

Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia
Gustav Klimt, Amiche I (Le Sorelle), 1907. Olio su tela, 125×42 cm, Klimt Foundation, Vienna. © Klimt Foundation, Vienna

Oltre a disegni, manifesti della Secessione, autografi e fotografie, la collezione della Fondazione offre una panoramica trasversale della pittura klimtiana, accostando dipinti celebri a sconosciute opere degli esordi. Agli schizzi e agli studi naturalistici di boschi, alle opere create nell’ambito della Künstler-Compagnie e ai vaporosi ritratti di signora di fine Ottocento si affiancano composizioni rivoluzionarie come Amiche I (Sorelle), del 1907, e La sposa, grande tela incompiuta eseguita nel 1917 negli ultimi mesi di attività dell’artista. Il dipinto, originariamente di proprietà di Emilie Flöge, uscì per l’ultima volta dall’Austria negli anni trenta, quando fu esposto a Berna e a Parigi.

Siamo molto lieti di mostrare al pubblico romano una selezione della nostra collezione in occasione della mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia”. L’allegoria de La sposa avrà così la possibilità di tornare a valicare i confini per la prima volta dopo più di ottant’anni, e anche il doppio ritratto Amiche I (Sorelle) sarà nuovamente esposto in Italia a centoundici anni dalla sua presentazione a Venezia nel 1910. Il Bel Paese ha senz’altro lasciato la sua impronta culturale in Austria – se non altro per lo stretto legame storico che unisce le due nazioni – influenzando molti artisti dello Storicismo e dello Jugendstil. Non sorprende che l’Italia fosse la destinazione prediletta di Klimt al di fuori dei confini dell’Impero asburgico. L’artista vi si recava infatti regolarmente per studiare l’eredità del Rinascimento italiano e anche l’arte del mosaico, a Venezia o a Ravenna ad esempio, traendone ispirazione per opere del tutto originali. Già durante la vita di Klimt i suoi dipinti ebbero uno straordinario successo di pubblico e di critica alle mostre di Roma e Venezia, prima che il triste capitolo della Grande Guerra riducesse pressoché a zero, per molti anni, gli scambi culturali tra l’Austria e l’Italia.

A questo punto vorremmo ringraziare il Museo di Roma per aver dato un impulso decisivo a questa esposizione: in primis Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente e co-curatrice della mostra, insieme all’équipe riunita intorno ad Allegra Getzel di Arthemisia. Un sincero ringraziamento alla co-curatrice e direttrice generale del Belvedere di Vienna, Stella Rollig, per il suo invito a questa collaborazione a livello internazionale, e grazie al curatore Franz Smola per il concept della mostra, che siamo stati molto felici di sostenere con i nostri prestiti. Grazie anche a Stephan Pumberger, responsabile capo del dipartimento delle mostre al Belvedere, e alla nostra assistente di direzione Laura Erhold, che rappresenta l’intera squadra della Klimt Foundation.

Peter Weinhäupl

Direttore Klimt Foundation

Sandra Tretter

Vicedirettrice Klimt Foundation

 

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Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

Nata dalla collaborazione fra il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation, la Sovrintendenza ai beni culturali di Roma Capitale e co-prodotta da Arthemisia, questa mostra presenta Gustav Klimt e gli artisti della sua cerchia in una prospettiva inedita: quella del rapporto con l’Italia. Il tema è stato trattato solo tangenzialmente nella bibliografia klimtiana, se si esclude il bel saggio di Eva di Stefano del 2014, ed è finora mancata l’attività congiunta di confronto e approfondimento dei documenti italiani e austriaci che è stata possibile in questa occasione.

A cavallo fra Otto e Novecento, per gli artisti austriaci l’arte italiana era al tempo stesso un aspetto imprescindibile della formazione e un fardello che rallentava il cammino verso la modernità. Quando, nel 1879, Klimt fondò con il fratello Ernst e con Franz von Matsch la Künstler-Compagnie, a Vienna dominava ancora lo storicismo e, fra gli stili del passato cui si ispiravano l’architettura e la decorazione interna degli edifici che sorgevano lungo la Ringstrasse, spiccava il Rinascimento italiano, che fu infatti per i tre giovani artisti un riferimento essenziale.

La protesta della Secessione, fondata nel 1897 con il motto “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”, segnò l’abbandono di questi modelli, ma non per questo Klimt smise di interessarsi all’Italia. I viaggi del 1899 e del 1903 furono infatti le occasioni per scoprire, fra Venezia e Ravenna, un’altra arte, quella dei mosaici paleocristiani e medievali, dei vetri murrini e degli smalti bizantini. Diversamente da Carl Moll e da altri artisti del suo gruppo, Klimt non dipinse mai vedute di Venezia. Alla ricerca di immagini meno scontate dell’Italia, lo ispirarono, invece, le rive del lago di Garda, che colpirono anche l’amico Koloman Moser.

Oltre a essere il Paese che Klimt visitò più spesso, l’Italia è stata per lui anche una meta espositiva di primaria importanza. Partecipò infatti due volte alla Biennale di Venezia, nel 1899 nella sala austriaca e nel 1910 con una straordinaria mostra personale. All’Esposizione internazionale di Roma del 1911 fu l’indiscusso protagonista del padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann e nel 1914 inviò un’opera alla II edizione della Secessione romana. Avendo esposto in Italia la maggior parte dei suoi capolavori, Klimt esercitò in questo contesto artistico un influsso diretto: pittori come Felice Casorati, Vittorio Zecchin, Galileo Chini sono stati i più fedeli interpreti della sua ‘pittura a mosaico’, ma alle sue composizioni si è ispirato anche uno scultore come Giovanni Prini.

La critica italiana di quegli anni dedicò molta attenzione ai Quadri delle facoltà, commissionati dall’Università di Vienna ma infine ritirati da Klimt dopo le critiche ricevute, dei quali l’ultimo e più rivoluzionario, La Giurisprudenza, fu presentato a Roma nel 1911. Di questi tre dipinti, andati distrutti nel 1945 e fotografati solo in bianco e nero, proponiamo al pubblico qui, per la prima volta, la ricostruzione dei colori realizzata, ricorrendo al machine learning e all’intelligenza artificiale, da un gruppo di lavoro coordinato dal Belvedere nell’ambito del progetto su Klimt di Google Arts & Culture.

Grazie alla straordinaria disponibilità della Galleria d’arte moderna Ricci Oddi, compare in mostra anche il Ritratto di signora del 1917, uno dei tre dipinti di Klimt presenti nei musei italiani, che è stato recentemente recuperato dopo un furto clamoroso. Non meno eccezionale è la presenza dell’ultima opera di Klimt, l’incompiuta e sublime La sposa.

Molti altri secessionisti hanno viaggiato ed esposto in Italia, e qualcuna delle opere che qui proponiamo era presente in quelle mostre, compresi alcuni esemplari di arti applicate. Pur cercando di rappresentare tutti gli artisti principali, e in particolare quelli del ‘Gruppo Klimt’, uno speciale risalto è stato dato qui a colui che trascorreva abitualmente le vacanze a Grado, Josef Maria Auchentaller.

Franz Smola

Curatore del Belvedere di Vienna

Maria Vittoria Marini Clarelli

Sovrintendente capitolina ai beni culturali

Sandra Tretter

Vicedirettrice della Klimt Foundation

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Palazzo Braschi mostra Gustav Klimt
Al Museo di Roma di Palazzo Braschi la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Zètema Progetto Cultura

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