desaparecidos Archivi - Classicult https://www.classicult.it/tag/desaparecidos/ Dove i classici si incontrano. Cultura e culture Sat, 16 Sep 2023 14:13:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.1 https://www.classicult.it/wp-content/uploads/2018/08/cropped-tw-profilo-32x32.jpg desaparecidos Archivi - Classicult https://www.classicult.it/tag/desaparecidos/ 32 32 Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán https://www.classicult.it/nostalgia-della-luce-di-patricio-guzman/ https://www.classicult.it/nostalgia-della-luce-di-patricio-guzman/?noamp=mobile#respond Mon, 28 Aug 2023 21:52:13 +0000 https://www.classicult.it/?p=220357 Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán: nel deserto di Atacama, in Cile, sono installati i telescopi più potenti del mondo

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NOSTALGIA DELLA LUCE, DI PATRICIO GUZMÁN

(Francia, Germania, Cile, Spagna, Stati Uniti – 2010, 90’’)

AL CINEMA DALL’11 SETTEMBRE 2023

Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán
il poster del film Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán

SINOSSI

Nel deserto di Atacama, in Cile, sono installati i telescopi più potenti del mondo. Mentre gli scienziati esplorano le immensità del cielo, gli archeologi sondano il terreno alla ricerca delle tracce delle popolazioni precolombiane. Tra gli uni e gli altri si aggira un terzo fronte di ricerca: i parenti dei desaparecidos massacrati sotto il regime di Pinochet, a caccia dei resti dei loro cari. Un film di struggente bellezza e accorata denuncia, un’originale e profonda riflessione sulla memoria.

Miglior Documentario, European Film Academy Prize 2010

Selezione ufficiale fuori concorso, Cannes Film Festival 2010

Miglior Documentario, International Association of Documentary makers IDA, EU 2011

Selezionato tra i 20 migliori documentari del secolo (Sight and Sound), Inghilterra 2013

Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán Nostalgia della luce, di Patricio Guzmán

NOTA DEL REGISTA

IL DESERTO DI ATACAMA

Il deserto è un immenso spazio fuori dal tempo, fatto di sabbia e vento. Una piccola parte di pianeta Marte che si trova sulla Terra. Tutto qui è immobile. Ciononostante, questa distesa è piena di tracce misteriose. Qui si trovano villaggi vecchi duemila anni. I treni abbandonati sulle sabbie dai minatori del 19esimo secolo non si muovono più. Qui si trovano gigantesche cupole che somigliano a navi spaziali dentro le quali vivono gli astronomi. Ovunque, ci sono delle ossa.

Quando scende la notte, la Via Lattea è così luminosa che le ossa proiettano ombre sul suolo

IL PRESENTE VISIBILE

Per un astronomo, il solo tempo che conta è il passato. La luce delle stelle impiega centinaia di migliaia di anni a raggiungerci. Ecco perché gli astronomi guardano sempre indietro. Verso il passato. Vale lo stesso per gli storici, gli archeologi, i geologi, i paleontologi e le donne che cercano i loro cari defunti. Tutti hanno questa cosa in comune: osservano il passato per comprendere meglio il presente e il futuro. Posti di fronte all’incertezza dell’avvenire, solo il passato può venirci in aiuto.

LA MEMORIA INVISIBILE

La memoria – così come il calore della luce del sole – ci rassicura sul fatto che siamo vivi. L’essere umano non sarà mai privo di memoria – un oggetto senza palpitazioni – senza inizio e senza un avvenire. Dopo 18 anni di dittatura, il Cile ha conosciuto nuovamente la democrazia. Ma a quale prezzo… In molti hanno perso i propri amici, i propri parenti, le proprie case, le proprie scuole, le proprie università. E altri hanno perso la memoria, forse per sempre.

CREDITS

UN FILM DI PATRICIO GUZMÁN

FOTOGRAFIA KATELL DJIAN

SUONO IN PRESA DIRETTA FREDDY GONZÁLEZ

MUSICA ORIGINALE MIRANDA & TOBAR

ASSISTENTE ALLA REGIA E DI PRODUZIONE, FOTOGRAFO DI SCENA CRISTÓBAL VICENTE

ASSISTENTE ALLA REGIA (PRE-PRODUZIONE) NICOLÁS LASNIBAT

MONTAGGIO PATRICIO GUZMÁN ED EMMANUELLE JOLY

SUPERVISIONE AL MONTAGGIO EWA LENKIEWICZ

FOTO DEL CIELO STÉPHANE GUISARD

EFFETTI SPECIALI ÉRIC SALLERON

MONTAGGIO E MISSAGGIO SONORO JACQUES QUINET

SUPERVISIONE LETTERARIA SONIA MOYERSOEN

PRODUTTORE ESECUTIVO VERÓNICA ROSSELOT

PRODUTTORE DELEGATO E CONSIGLIERE ARTISTICO RENATE SACHSE

COPRODUTTORI MEIKE MARTENS, CRISTÓBAL VICENTE

RINGRAZIAMENTI SPECIALI A

MICHEL CASSÉ, RODRIGO VERGARA, VERÓNICA ROSSELOT ED ERIC LAGESSE

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Boom PR.

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La memoria dell’acqua (El Botón De Nácar), di Patricio Guzmán https://www.classicult.it/la-memoria-dellacqua-el-boton-de-nacar-di-patricio-guzman/ https://www.classicult.it/la-memoria-dellacqua-el-boton-de-nacar-di-patricio-guzman/?noamp=mobile#respond Mon, 28 Aug 2023 20:53:02 +0000 https://www.classicult.it/?p=220203 La memoria dell'acqua (El Botón De Nácar), di Patricio Guzmán: un bottone di madreperla è una traccia dei desaparecidos di Villa Grimaldi a Santiago

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LA MEMORIA DELL’ACQUA (El Botón De Nácar), UN FILM DI PATRICIO GUZMÁN

(Cile, Francia, Spagna – 2015, 82’)

SINOSSI

Un bottone di madreperla incrostato nella ruggine di una rotaia in fondo al mare: è una traccia dei desaparecidos di Villa Grimaldi a Santiago, il grande centro cileno di detenzione e tortura sotto la dittatura di Pinochet. Un fiume che scorre e il tintinnio delle cascate: è la canzone dell’acqua alla base della cultura dei Selknams, popolazione nativa sudamericana trucidata dai colonizzatori. Due massacri, e la memoria dell’acqua: sono le chiavi narrative per raccontare la storia di un Paese e delle sue ferite ancora aperte, per percorrere il Cile e la sua bellezza, il Cile e la sua violenza. In un film eccezionale che affianca la crudezza della storia e la poesia della natura.

La memoria dell'acqua (El Botón De Nácar), di Patricio Guzmán

Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura al 65esimo Festival di Berlino

Best Film Unipol Award | Biografilm Festival 2015

Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Un film che riflette, attraverso le dinamiche eterne dell’Universo, la Storia tormentata del suo Paese, il Cile, con uno sguardo documentaristico profondo e originale, elevando dettagli quasi insignificanti a elementi fondanti della ricerca della verità».

La memoria dell'acqua (El Botón De Nácar), di Patricio Guzmán
il poster del film La memoria dell’acqua (El Botón De Nácar), di Patricio Guzmán

NOTA DEL REGISTA

LA PATAGONIA OCCIDENTALE

Situata nella parte meridionale del Cile, la cosiddetta “Patagonia occidentale” è il più grande arcipelago esistente al mondo: secondo le stime, l’infinità di isole, isolotti, scogli e fiordi che lo compongono si estende per oltre 74000 chilometri di costa. Questa regione ancora in parte inesplorata comprende l’estremo sud del continente americano e inizia dal golfo di Penas fino ad arrivare all’isola degli Stati (il punto più meridionale del Sudamerica). Un labirinto così immenso d’acqua ci riporta alle origini acquatiche dell’umanità. 

CREDITS

REGIA

PATRICIO GUZMÁN

PRODUTTORE

RENATE SACHSE (ATACAMA PRODUCTIONS)

MONTAGGIO

EMMANUELLE JOLY

ASSISTENTE ALLA REGIA

NICOLÁS LASNIBAT

SONORO

ÁLVARO SILVA WUTH

COLONNA SONORA ORIGINALE

MIRANDA & TOBAR, HUGHES MARÉCHAL

FOTOGRAFIA E RIPRESE

KATELL DJIAN

ADDITIONAL PHOTOGRAPHY

PATRICIO GUZMÁN

DAVID BRAVO

YVES DE PERETTI

PATRICIO LANFRANCO

RAUL BEAS

FOTOGRAFIA

MARTÍN GUSINDE

PAZ ERRÁZURIZ

MONTAGGIO E MIX SONORO

JEAN-JACQUES QUINET

PRODUTTORE E CONSULENTE ARTISTICO

RENATE SACHSE

PRODUTTORE ESECUTIVO E DIRETTORE DI PRODUZIONE ADRIEN OUMHANI

LINE PRODUCER IN CILE

VERÓNICA ROSSELOT

CO-PRODUTTORI

BRUNO BETTATI

FERNANDO LATASTE

JAUME ROURES LIOP

VALDIVIA FILM

MEDIAPRO

FRANCE 3 CINÉMA

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Boom PR.

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Madres Paralelas – La memoria della famiglia https://www.classicult.it/madres-paralelas-pedro-almodovar-famiglia/ https://www.classicult.it/madres-paralelas-pedro-almodovar-famiglia/?noamp=mobile#respond Sun, 07 Nov 2021 20:48:07 +0000 https://www.classicult.it/?p=124384 Madres Paralelas è il nuovo film del regista Pedro Almodóvar dedicato al concetto di maternità e femminilità

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Il regista spagnolo Pedro Almodóvar è tornato in sala con un nuovo film, Madres Paralelas. La pellicola, presentata durante l’ultima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ha riscosso da subito il plauso di critica e spettatori. Madres Paralelas è l’ennesima collaborazione tra Almodóvar e Penelope Cruz, un’attrice conosciuta a livello mondiale che è riuscita a portarsi a casa la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile.

Pedro Almodóvar Madres Paralelas
Madres ParalelasSony Pictures

 

Madres Paralelas: la trama

Janis (Penelope Cruz) è una fotografa pubblicitaria alla soglia dei 40 anni. Durante una sessione lavorativa incontra l’antropologo Alfonso (Israel Elejalde). Janis si lega inizialmente ad Alfonso a causa di una missione storica per lei molto importante: riaprire una fossa comune dove si trova il suo bisnonno, desaparecido durante la Guerra civile spagnola. Tuttavia, la relazione tra i due muterà presto da lavorativa a sessuale. Janis resta incinta e Alfonso, sposato con una donna malata di tumore, non se la sente inizialmente di vestire i panni di padre.

Durante il giorno del parto, Janis conosce la sua compagna di stanza, una adolescente di nome Ana (Milena Smit). Tra le due scatta immediatamente una forte simpatia ed empatia. Entrambe danno alla luce delle bambine che saranno trattenute in osservazione per problematiche lievi. Questo evento sarà determinante per la vita di entrambe le donne che, anche dopo il parto, continueranno a far parte l’una della vita dell’altra.

Pedro Almodóvar Madres Paralelas
Madres ParalelasSony Pictures

L’esplorazione del femminile

Non è la prima volta che Almodóvar decide di esplorare femminilità e maternità. Anzi, potremmo tranquillamente affermare che queste tematiche sono alla base della poetica del regista spagnolo. L’apice fu raggiunto nel 1999 con Tutto su mia madre, pellicola cardine per la filmografia di Almodóvar e punto continuo di confronto. Per tale motivo, il riproporre le stesse tematiche con dietro la mano dello stesso autore, poteva rivelarsi una mossa poco vincente.

Tuttavia, se dietro alla macchina da presa c’è la maestria di Almodóvar possiamo tirare un sospiro di sollievo. Il regista spagnolo ha continuato per tutti gli anni 2000 ad esplorare il concetto di maternità, con risultati a tratti sfuggenti (basti pensare all’occasione persa che fu Julieta nel 2016).

Madres ParalelasSony Pictures

In Madres Paralelas Almodóvar pare riannodare i fili di una trama che, negli anni passati, non è mai riuscito a comporre totalmente. Persino la scelta di portare su grande schermo due delle sue muse più note (Penelope Cruz come protagonista e Rossy De Palma come l’amica fidata di Janis) pare suggerirci l’intenzione di voler tornare ad una specie di origine femminile.

La maternità in questo caso non è solo riproduzione ma anche, se non soprattutto, memoria. Janis e Ana sono madri, ma sono anche figlie, amanti e parte integrante della Storia. Una Storia che non accenna a tacere, nonostante le manipolazioni degli esseri umani e delle ideologie. In questo mancato tacere troviamo le vite di Janis e Ana e loro volontà di raccontare e raccontarsi.

La memoria e la Storia

In Madres Paralelas, Almodóvar decide di affrontare un tema che differisce da quelli che sono i suoi temi del cuore, ovvero decide di affrontare la memoria storica della Spagna e di quella che fu la Guerra civile. Nonostante questo tema possa inizialmente sembrare un contorno alla vicenda del singolo, ben presto lo spettatore si rende conto che è proprio la Storia a pilotare le azioni di Janis e, in seguito, di Ana. Janis è una donna politicamente impegnata e dichiaratamente femminista. Cresciuta principalmente da donne, ha come obiettivo quello di ricostruire la memoria della propria famiglia per poter costruire anche una propria identità.

Ana, invece, essendo più piccola ed essendo stata cresciuta da un padre disattento e da una mamma attrice dichiaratamente apolitica, ancora non comprende bene il concetto di origine e Storia. Proprio per questo motivo, inizialmente, Ana è terrorizzata dall’idea di diventare mamma. Senza un’origine cosa potremmo dare ai nostri figli? Eppure, alla fine del film, la madre sarà proprio Ana. Janis, dal canto suo, si troverà a dover interpretare il ruolo di guida per Ana e per Alfonso. Il rapporto con Ana muterà più volte (conoscenti, collaboratrici, amiche, amanti) e quello con Alfonso ruoterà sempre tra lecito e illecito. Janis mantiene le redini della narrazione, poiché è lei, in definitiva, a voler riprendere le redini della Storia. Forse proprio questo è il messaggio del film: una donna che sorregge tutto, persino il peso culturale e privato della Storia.

Il film è attualmente nelle sale e si adatta tranquillamente ai gusti di tutti. Abbiamo commedia, eros, romance e impronta storica. Almodóvar pare essersi ripreso dal periodo di torpore che pareva averlo colpito (eccezione fatta per Volver – Tornare e Dolor y Gloria) e noi siamo felicissimi di poterlo (metaforicamente) riabbracciare!

La locandina del film Madres paralelas di Pedro Almodóvar – Sony Pictures

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Storia di un adolescente e di un autografo di Luis Sepúlveda https://www.classicult.it/storia-di-un-adolescente-e-di-un-autografo-di-luis-sepulveda/ https://www.classicult.it/storia-di-un-adolescente-e-di-un-autografo-di-luis-sepulveda/?noamp=mobile#respond Thu, 16 Apr 2020 18:40:19 +0000 https://www.classicult.it/?p=94516 Oggi Luis Sepúlveda è diventato una presenza di carta e inchiostro; le circostanze rendono questa notizia ancora più amara

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Esiste da qualche parte una fotografia in cui in primo piano compare un massiccio uomo sulla cinquantina con un folto pizzetto attraverso il quale si intravede un’espressione piuttosto contrariata; accanto a lui c’è un adolescente brufoloso, panciuto almeno quanto lui, che gli porge un libro e una penna rivolgendogli un sorriso ammirato e guance rosse d’imbarazzo. Sullo sfondo sfocato, una gran folla sta per travolgere l’uno e l’altro. Quell’uomo è Luis Sepúlveda e il quindicenne in adorazione sono io; l’anno è il 2003, e lo scrittore cileno era ospite del liceo che frequentavo nell’ambito degli allora neonati Presidi del Libro.

Lo avevamo inseguito a lungo, Sepúlveda: eravamo quasi riusciti ad averlo ospite già l’anno prima per la presentazione di Nati in Riva al Mondo (Besa Editrice), il progetto letterario-musicale del chitarrista Mauro Di Domenico nel quale lui aveva figurato come guest star nelle inedite vesti di cantante rap. Era un progetto ambizioso grazie al quale si tentava di costruire un ponte di musica e parole tra l’America Latina di oggi e quella dei desaparecidos, di Pinochet e di Neruda, e Luis Sepúlveda non poteva che esserne una delle figure chiave, malgrado nei due brani in cui cantava faticasse a tenere il tempo e la sua voce rauca mal si adattasse alla pronuncia italiana. D’altronde l’impegno politico, per una persona che quegli anni li ha vissuti e sofferti, non può essere scisso dalla propria vita; e se la vita chiede di essere tradotta in arte, allora ogni parola sarà per forza una richiesta di libertà e al tempo stesso il ricordo di una prigionia.

Quella volta non fu possibile assicurarsi la sua presenza, ma il suo management promise che entro la fine dell’anno successivo ci avrebbe proposto un’altra data; io, che all’epoca frequentavo attivamente i Presidi del Libro, rimasi estremamente deluso: l’occasione era andata persa, figurati se ce ne sarebbe mai stata un’altra di vedere Luis Sepúlveda nel mio paese alla periferia di Bari, in riva al mondo come il Cile.

Fino a poco prima Sepúlveda lo avevo conosciuto esclusivamente come l’autore di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, libro che alla fine degli anni ’90 era già un classico: i miei coetanei ricorderanno che, nei bei tempi in cui Harry Potter non aveva ancora globalizzato la letteratura per l’infanzia, il gatto Zorba e la piccola Fortunata erano stati i compagni ideali dei pomeriggi di molti bambini; per me, che bambino non ero più e adulto non ero ancora, quel libro continuava a significare ancora molto.

In quei mesi avevo scoperto che la sua produzione era ben più vasta, mi ero interessato alla sua vita e alla storia del suo paese, complici anche le lezioni di geografia internazionale del secondo anno di liceo; inoltre avevo trovato nella mia biblioteca un altro suo libro, Diario di un killer sentimentale, in una pessima edizione da edicola uscita qualche anno prima, e l’avevo divorato. Allora il mio senso critico era ancora in età pubere, eppure in qualche modo capii di essermi trovato di fronte a uno di quei libri che con la sola forza delle parole riescono a ipnotizzare chi li legge, pur non raccontando una storia di grande complessità. In altre parole stavo crescendo, e con questo Luis Sepúlveda c’entrava ben poco; nondimeno divenne un silenzioso testimone della mia adolescenza.

A dispetto del mio pessimismo l’incontro con l’autore ci fu davvero, nei primi giorni di quella che fino all’avvento del riscaldamento globale sarebbe stata ricordata come l’estate più calda di sempre: Luis Sepúlveda avrebbe presentato la riedizione del suo primo romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore proprio nell’auditorium del mio liceo.

Ricordo perfettamente il momento in cui lo vidi per la prima volta, attraverso una finestra, mentre fumava una sigaretta seminascosto nel cortile della scuola: avrei saputo più tardi che aveva chiesto di essere lasciato da solo per qualche istante, prima dell’inizio della conferenza. Più alto e meno robusto di come lo avevo immaginato, se ne stava perfettamente immobile a parte la mano che guidava la sigaretta dalla bocca al fianco e ritorno, con lo sguardo impenetrabile fisso sui radi ciuffi d’erba di periferia. Quando fece il suo ingresso nell’auditorium, salutò il pubblico rivolgendogli un sorriso e un ampio gesto del braccio, in un atteggiamento diametralmente opposto a quello con cui lo avevo sorpreso poco prima.

I diciassette anni trascorsi hanno cancellato dalla mia memoria la maggior parte di ciò che fu detto durante l’incontro, però ricordo nitidamente due suoi interventi: nel primo si lamentò scherzosamente di quanto l’italiano fosse difficile rispetto allo spagnolo, sebbene lui parlasse benissimo la nostra lingua. «In italiano devo per forza usare l’ausiliare» disse «Ad esempio, “mi faccio la doccia”. In spagnolo, invece, dico semplicemente “me ducho”: non credete sia più facile così?».

La seconda cosa che ricordo è un aneddoto da lui raccontato: «Una volta ho partecipato a un incontro con gli insegnanti di mio figlio: ero fortemente imbarazzato perché, quando la maestra gli aveva chiesto che mestiere facessi, lui aveva risposto “mio padre inventa storie tutto il giorno”. Entro nell’aula, mi siedo al banco insieme a mio figlio in mezzo a tutti gli altri genitori e poco dopo le maestre iniziano a parlare, parlare, parlare e poco dopo mi annoio e non le sento più. A un certo punto la mia attenzione viene attirata da una mosca che volava in tondo nei pressi del soffitto; subito la mia testa inizia a girare in tondo seguendo il volo della mosca; mio figlio mi vede, scopre anche lui la mosca e anche la sua testa inizia a girare in tondo. Poi lo vede il suo amichetto e anche lui inizia a far girare la testa… e così via, finché le maestre non parlano a una folla di gente con la testa che gira in tondo».

Luis Sepúlveda nel 2013 a Luino. Foto modificata Associazione Amici di Piero Chiara, CC BY 2.0

Quando finì l’incontro l’autore si allontanò per fumarsi una seconda sigaretta; mentre il pubblico si disperdeva io, svelto, lasciai il mio posto e sfrecciai nel cortile dove lo avevo visto poco prima, sicuro di trovarlo là. E infatti così fu: nel vedermi corrergli incontro lui mi lanciò l’occhiataccia contrariata che fu poi immortalata nella fotografia; ma fu solo un attimo, perché di fronte al mio imbarazzo mi rivolse un sorriso comprensivo e accettò il libro che gli stavo porgendo perché me lo autografasse.

Ne avevo portati tre, la Gabbianella, il vecchio e il killer sentimentale: per tutta la durata dell’incontro ero stato incerto su quale fargli firmare, perché il primo aveva un grande valore affettivo e il secondo era l’oggetto di quella presentazione; tuttavia alla fine gli porsi d’istinto il terzo, che era stato il mio preferito tra i tre e, per quanto non lo abbia mai ammesso fino al momento di scrivere il presente articolo, con quel gesto avrei simbolicamente detto addio alla mia infanzia. Sepúlveda non ebbe il tempo di fumarsi in pace la sua sigaretta, perché la folla che fa da sfondo nella foto gli fu addosso un istante dopo; io feci appena in tempo ad allontanarmi per non trovarmi invischiato nel groviglio di persone. La mia penna gli rimase tra le mani, e io non avrei mai più rivisto né l’una né l’altro.

Luis Sepúlveda ad Arona (2009). Foto di AmonSûl, CC BY-SA 3.0

Oggi Luis Sepúlveda è diventato una presenza di carta e inchiostro; le circostanze rendono questa notizia ancora più amara, e ci vorrà molto tempo perché egli venga ricordato come un grande scrittore del passato e non come il grande scrittore morto di COVID-19.

Altre persone più titolate di me trascriveranno la sua biografia e tesseranno le sue lodi; frasi commoventi e immense banalità saranno dispensate in egual misura. Io mi limito a narrare la storia del nostro incontro, una manciata di ricordi frammentari; però sono sicuro che la sua anima saprà vibrare nelle virgole e negli interlinea, perché questo è ciò che accade quando, dopo una vita passata a raccontare storie essa stessa diventa una storia da raccontare.

Luis Sepúlveda
Foto di Mariano Rizzo

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