Barbareide, di Matteo Vacca: un elogio alla complessità e al cambiamento

Quanto sono belli i labirinti, specie quelli letterari. Uno dei preferiti è il labirinto che Franz Kafka ricrea in America e che è un po’ la struttura della maggior parte degli incubi moderni. C’è un ragazzo, perso in una grande città, che non riesce a regolarsi, a capire che gli succede, si perde continuamente e non capisce in che direzione deve andare. La città, con tutti i suoi grattacieli, lo fa sentire piccolo, insignificante, ma Karl Rossmann prosegue lungo le sue strade e non si arrende. Cammina, come un automa, quasi privo di vita e di coscienza, e si lascia trasportare, trascinare e confondere.

Non dico che, quando vi troverete di fronte a Barbareide, vi sentirete come questo ragazzo, piccoli nel labirinto di parole, minuscoli in confronto alle costruzioni architettoniche dei versi. Persi dinnanzi ad una storia che si dipana tra passato e presente e in cui, quando sentite che in qualche modo avete trovato la strada e si parla di voi – delle occasioni perse, dei rimorsi, degli amori cui si è sempre legati nonostante tutto – vi trovate nuovamente smarriti, come se aveste preso un abbaglio. Per poi ritrovarsi di nuovo ad avere una tale impressione. La sensazione che avete trovato la quadra, la strada, per poi smarrirsi nuovamente.

Matteo Vacca, l’autore, nonché insegnante, vi aveva avvertito all’inizio di non ingannarvi, di non tentare di trovare un senso in quella matassa di argomenti, storie, miti, formule letterarie. Eppure niente, non avete voluto sentire ragioni. Vi siete incaponiti, come quando vi trovate di fronte alle parole crociate in spiaggia o come quando volevate a tutti i costi ricostruire la storia de La mascella di Caino (che, con tutto il rispetto, non è che ne valesse la pena). Non vi siete arresi, spero, e avete fatto bene.

Basta con queste letture facili! Basta con tutte quelle opere che non richiedono impegno o il sacrificio di spremersi le meningi. Basta con la facilità, le strade facilmente percorribili. Lo diceva Pitagora, ai tempi, di prendere la strada meno battuta, il sentiero di trekking, quel cammino che tutti evitano perché troppo difficile. Ovviamente, il filosofo non lo diceva con queste esatte parole, ma ci siamo capiti. Quello strano muscoletto che abbiamo lì, in alto, fissato nella sua scatola cranica, desidera allenamento, altrimenti si stanca, si stufa e prende strane decisioni in ambito sentimentale o politico.

Considerate questo elogio alla difficoltà una prima importante lezione di Matteo. La letteratura deve essere un pugno dello stomaco, diceva quel caro Kafka nei suoi diari, ma non solo. Deve essere anche un’occasione per mettersi nella condizione di essere sorpresi. Quando ho iniziato a leggere il prosimetro di Matteo (che è un genere a metà tra la prosa e i versi) ho colto tanti riferimenti letterari e filosofici, e credo che senza una buona conoscenza della cultura e della letteratura greco-romana, con dispiacere li si perderebbe nella lettura del libro.

Allora, a una seconda lettura, mi sono soffermata sulla storia, sull’intreccio (che vi intreccerà la testolina), su quello che accade, sul significato letterale delle parole, tralasciando quello letterario, ed è venuta fuori l’umanità dell’opera, la sua complessità, tutti quei sentimenti che l’erudizione non può incasellare nelle sue gabbie dorate. Sì, perché la conoscenza senza sentimento è un metallo che rimbomba, uno strumento che suona a vuoto, parafrasando Paolo di Tarso.

Barbareide si colloca nell’epoca delle invasioni barbariche, quando la parte occidentale dell’Impero Romano cessa di esistere per come la intendevamo. L’arrivo dei barbari finirà col mettere fine a tutto, a tutto quello che si conosce. Il racconto del passato (e di un momento iconico della nostra storia di occidentali) non può che rivelare il nostro presente, facendosi racconto politico, come Matteo aveva già fatto nella sua prima opera, Porno Agape, pubblicata nel 2016, sempre con la SECOP edizioni.

il prosimetro Barbareide tra altri libri

Eppure, l’autore bitontino non si limita a fare una narrazione metaforica del presente, ma unisce ai grandi eventi quelli più piccoli, quelli più personali. La differenza con quel suo primo poema è il tempo trascorso, che ha finito col rendere lo stesso Matteo più adulto e il suo modo di raccontare più chiaroscurale.

Nella sua ultima fatica, ha inevitabilmente descritto i moti del suo animo, gli effetti che il tempo ha avuto su di lui, e li ha intrecciati alla poesia, alle sue conoscenze, con un risultato che mi fa sperare per il futuro. Ho pensato, finendo Barbareide: “chissà che farà questo ragazzo in futuro”, “chissà a che punto arriverà”. E confesso che non vedo l’ora di scoprirlo e di perdermi ancora in questo miracolo che tanto spesso si rivela la letteratura.

l'autore Matteo Vacca con una copia della Barbareide
l’autore Matteo Vacca con una copia della Barbareide

Lo stesso titolo vi fa capire che, però, sono i Barbari ad essere al centro di questa storia, non quegli eroi, che solitamente vengono celebrati. Anzi, sono i Barbari gli eroi. Ciò che arriva e distrugge tutte le nostre certezze. Il movimento che rivoluziona, il cambiamento che ci fa risorgere, dopo il detto verlainiano – che costituisce gli ultimi versi della sua celebre poesia Languore – “tutto è bevuto, tutto è mangiato, più nulla da dire” (v.10). Lo scossone, simile a quel “Dio è morto” di matrice nietzschiana, che ci spinge a riformulare il nostro vivere quotidiano, le nostre abitudini. Che ci spinge a costruire qualcosa di nuovo sulle macerie.

Leggere Barbareide non può che essere un atto di buon senso. Così come è buon senso perdersi e ricostruirsi ogni giorno della nostra vita.

la copertina del prosimetro Barbareide, di Matteo Vacca, pubblicato da SECOP Edizioni (2023)
la copertina del prosimetro Barbareide, di Matteo Vacca, pubblicato da SECOP Edizioni (2023)

Nata a Bitonto nel ’94, ha studiato Lettere Classiche e Filologia Classica. Nel 2021 si è laureata in Scienze dello Spettacolo. Giornalista Pubblicista, collabora con più testate online. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica alla Silvio D’Amico. I suoi interessi e studi riguardano la letteratura, il cinema e il teatro.

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